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Una riflessione sull’ultimo libro
 di poesia di Pier Paolo Pasolini

di Andrea Mariotti

A distanza di trentotto anni esatti dalla tragica scomparsa di Pier Paolo Pasolini, vorrei qui riflettere sull’ultimo libro di poesia, Trasumanar e organizzar (1971) del grande scrittore e regista. Nel 1971, per inciso,  veniva pubblicata una importante raccolta di Eugenio Montale, Satura; quasi ovvio che l’attenzione della critica fosse catalizzata da quest’ultimo libro, rispetto a quello dell’eretico Pasolini (senza per questo voler  disconoscere le novità rimarchevoli presenti in Satura, a fronte delle precedenti “stagioni” dell’impegno poetico del grande Genovese). Ciò, comunque, procurò non poca amarezza a Pasolini, che molto aveva investito non solo emotivamente ma anche sul piano dello stile in Trasumanar e organizzar (si pensi, intanto, al titolo dantesco scelto dal poeta per il suo libro: “Trasumanar significar per verba/ non si poria…”; Paradiso, I, 70-71). Ci si potrebbe in qualche modo stupire, a proposito dell’impegno stilistico trasfuso in Trasumanar e organizzar dal poeta delle Ceneri che, com’è noto, all’inizio degli anni Settanta, per sua stessa ammissione, era ormai un intellettuale piuttosto scettico circa la centralità della poesia. Ma, naturalmente, piaccia o non piaccia ai tanti detrattori che tuttora non mancano della poesia pasoliniana, stiamo qui parlando di una esperienza poetica saliente del nostro Novecento, quella di Pasolini, appunto; sorretta da una finissima educazione letteraria che sarà bene tenere presente anche per comprendere, una volta per tutte, il consapevole, accentuato intento antipoetico dei versi di Trasumanar e organizzar; laddove tale intento viene a conti fatti percepito, dal lettore sensibile e intellettualmente onesto, come un dono di autentica e struggente poesia. Peraltro questo movimento dell’impura, contaminata poesia di Pasolini che finisce per risultare così toccante è stato debitamente valorizzato da Fernando Bandini nella sua corposa introduzione a PASOLINI, Tutte le poesie, i Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore; Tomo primo, Il “sogno di una cosa” chiamata poesia; come del resto da Franco Cordelli, nella prefazione all’edizione garzantiana di Trasumanar e organizzar, Gli Elefanti, prima edizione 2002. Ora tanto Bandini quanto Cordelli (senza escludere Enzo Siciliano), insistono giustamente sull’umiltà dell’ultimo Pasolini, in poesia; nel senso che, abbandonati i fasti della terzina dantesca rivitalizzata a suo tempo dal Pascoli e quasi scagliata dal nostro poeta contro il Novecento “ermetico” in Le ceneri di Gramsci (1957), La religione del mio tempo (1961) e Poesia in forma di rosa (1964); abbandonati tali fasti, stavamo dicendo, ecco quest’ultimo Pasolini realizzare i suoi affondi antilirici senza più enfasi, con spirito disilluso, talvolta ironico e parodistico (seppure all’occorrenza profondamente tragico, vedi fra tutte  la poesia Patmos). Il risultato finale di tale atteggiamento verso la poesia, in chiave stilistica? ebbene, la scomparsa degli enjambements non sempre felici delle terzine ora assenti; in favore di un evidente discorrere “in forma di prosa” (e non più di rosa, se ci si passa l’espressione) che, in Trasumanar e organizzar, finisce per dare luogo a un vero e proprio informale poetico, con versi largamente ipermetri destinati alla recitazione. Semanticamente parlando poi, in base a quanto sopra accennato, come tacere di un balenio della poesia non cercata ma trovata in profondità, e da questa  stessa profondità pronta a risalire fino al cuore del lettore ostinato (nel leggere e rileggere) e fondamentalmente libero, non condizionato dagli estetici pregiudizi delle “anime belle” della poesia? I citati studiosi di Pasolini hanno anche insistito, a proposito di Trasumanar e organizzar, sulle non poche poesie intrise di “bontà” raccolte nel libro; un libro nel quale, in sintesi, non è più l’interiorità a piegarsi alla forma ma piuttosto il contrario (qui rammentando un fertile enunciato di Alessandro Piperno, Premio Strega nel 2012; enunciato incluso nell’ articolo apparso sul Corriere della Sera del 18.2.2008 in merito alla Certosa di Parma di Stendhal). Essendo ovvio dover sottoporre a strenuo esercizio di pensiero critico proprio ciò che maggiormente si ama, nell’arte, sarà innegabile riconoscere a questo punto che il “grido” più memorabile della poesia civile di Pasolini “L’intelligenza non avrà mai peso, mai,/ nel giudizio di questa pubblica opinione…” risulta frutto costante d’estrapolazione da un poemetto del 1962, La Guinea (incluso nella raccolta Poesia in forma di rosa, del 1964) fatto di terzine sovente estetizzanti, monotone e in stato di materiale poetico per così dire inerte, rispetto all’erompere del suddetto “grido”, stupendo e vero; e che vale l’autobiografia di una nazione, in chiave gobettiana. Da quanto finora osservato si ricava la complessità, come pure la presenza di dislivelli stilistici, all’interno del percorso poetico di Pasolini. Ma, sempre per motivi di costante esercizio critico del pensiero, non si dovrà neppure esaltare a dismisura la “bontà” delle ultime poesie di Pasolini; per non assecondare a conti fatti un revisionismo fin troppo riduttivo e retroattivo, inteso a banalizzare quella “poesia della ideologia” centrale nelle Ceneri  e ben memorabile (nonostante i limiti formali accennati): ché, tale revisionismo, va ad integrare, guarda caso, quella vera e propria damnatio memoriae  gravante tuttora sull’eretico Pasolini e alla quale, inconsapevolmente o meno, prestano oggi ausilio curatori di tomi e intellettuali più che raffinati, esiziali, al dunque; tesi all’egolatria prendendo a prestito la poesia e più in generale l’eredità culturale di Pasolini. Tutto ciò premesso intendo presentare, oggi 2 novembre, in funzione non riduttiva ma interrogativa , una breve e famosa poesia tratta per l’appunto da Trasumanar e organizzar :

 

COMUNICATO ALL’ANSA (UN CANE)

Ahi, cane, fermo sul ciglio della via Prenestina

che si guarda di qua e di là prima di attraversare la strada.

Non ha nulla da ridire: accetta tutto.

Non ha dignità da difendere, a causa della sua bontà.

Ecco quindi la mia conclusione:

la rassegnazione non ha niente da invidiare all’eroismo.

 (poesia di Pier Paolo Pasolini, da Trasumanar e organizzar, 1971)

 


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