Fonde i caratteri di due
scuole diverse
L’Apollo di Anzio
La città di Anzio, che diede i natali all’imperatore
Nerone, nell’antichità era ornata da numerosi monumenti. L’amenità
del luogo la fece amare dai romani facoltosi, che vi fecero
costruire le loro ville, a cominciare dallo stesso Nerone. Sono
perciò frequenti ritrovamenti occasionali di opere d’arte.
Era il 29 gennaio del 1937. Alcuni operai stavano scavando un
cunicolo per conto del genio civile sulla litoranea Anzio – Ardea,
quando, proprio di fronte alla sede dell’Italcable, rinvennero una
statua di marmo greco imettio quasi intatta, che giaceva sotto
appena 70 centimetri di terra, immediatamente acquisita dal Museo
Nazionale Romano, dove ancora si trova. Era un Apollo di grandezza
naturale, completamente nudo, che doveva posare con l’avambraccio
destro su un sostegno di cui non resta traccia. Il peso del corpo si
scarica sulla gamba sinistra. La figura ha un movimento sinuoso,
grazie anche alla leggera torsione che inizia dal piede destro per
terminare sul capo, volto a sinistra e piegato in avanti. La mano
sinistra è perduta, ma l’avambraccio piegato in avanti fa supporre
che reggesse l’arco.. La corporature del dio è robusta, ma non
troppo muscolosa. La testa è piccola e delicata, il volto ovale, con
lineamenti fini ed espressione trasognata. I capelli ondulati sono
divisi in due bande da una scriminatura centrale e si vanno a
raccogliere in un ciuffo sulla sommità del capo. Roberto Vighi
analizzò il pezzo nelle “Notizie Scavi” del 1938, riconoscendovi
chiarissimi caratteri di scuola prassitelica, “anzitutto nella
posizione del corpo, con la tipica gravitazione verso un appoggio;
nella costruzione del volto ovale, con occhi umidi e con scarsa
espressività; nella trattazione della capigliatura, con ciocche
divise da solchi brevi e intersecantisi”. Altri elementi però,
avvertiva Vighi, richiamano caratteri di scuola lisippea: “la
relativa piccolezza della testa; l’esilità della parte inferiore del
corpo rispetto alla superiore, il movimento di torsione e un effetto
complessivo di fortezza e di slancio”. La scoperta di Anzio risultò
utile soprattutto per confermare il carattere maschile di simili
teste apollinee, nel passato considerate femminili. Secondo Vighi,
la datazione dell’originale, che doveva essere di bronzo, deve
essere posta tra la fine del IV e l’inizio del III secolo d. C.,
periodo in cui era maturata una maniera stilistica in grado di
fondere, “senza evidenti contrasti, le tendenze e i caratteri di due
scuole ben diverse, in un’opera compiuta e armonica come quella di
cui il suolo di Anzio ci ha restituito la migliore delle copie
sinora esistenti”.