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Vigilava sul Tevere per impedire annegamenti accidentali e suicidi

La Società romana di soccorso per gli asfittici

 

 

Il problema dei suicidi o aspiranti tali che cercavano sollievo alle loro pene nelle acque del Tevere era molto sentito nei secoli scorsi a Roma. Per dar loro aiuto era stata perfino istituita, nel 1880,  la “Società romana di soccorso per gli asfittici”, il cui compito era vigilare sul fiume e insegnare le operazioni per il salvataggio degli sventurati che stavano per affogare. Venivano anche praticate tecniche di rianimazione sulle persone che venivano ripescate in stato di asfissia. Il controllo del Tevere avveniva mediante alcune imbarcazioni manovrate da abili fiumaroli pronti ad accorrere in caso di bisogno. Ma il biondo fiume era per molti romani anche l’unico posto in cui prendere un bagno ristoratore. L’insidia delle correnti, unita all’imperizia dei più, era causa di non pochi incidenti. Così i giornali dell’epoca lodavano la Società, che tra l’altro distribuiva ai ragazzi tessere gratuite per le scuole di nuoto, deprecando l’indifferenza del Comune di Roma, che si limitava all’elargizione di qualche premio per chi avesse ripescato un annegato, vivo o morto.

Uno dei più famosi membri della Società era Massimo Cupellini, soprannominato Cupella, poliedrica figura di attore, pittore edile, costruttore di barche, capannaro di fiume, che tra il 1893 e il 1908 aveva effettuato la bellezza di 67 salvataggi, dei quali 31 a ponte Sant’Angelo, 13 a Ponte Garibaldi, 4 a ponte Umberto e 3 a Ponte Cavour. Come scriveva Riccardo Mariani , “in tutta la sua carriera al servizio della Società Romana Soccorso Asfittici, Cupellini ha sal­vato 161 persone, di cui 82 donne, gran parte delle quali se lo sareb­bero divorato perché le aveva riportate in vita. Infatti, quasi tutte le don­ne ripescate, chi l’ha insultato, chi l’ha aggredito, chi l’ha graffiato e azzannato, chi ha tentato addirittura di ucciderlo”.

Nel 1914 la Società – che contava 72 soci - aveva effettuato numerosi salvataggi. Aveva 8 battelli e un pontone nel tratto urbano del Tevere per la vigilanza e il pronto soccorso. I battelli erano inscritti nel registro dei galleggianti dell'Ufficio di Porto di Roma. Un numero della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia di quell’anno ricorda “Ronconi Cesare, barcaiuolo degli asfittici”, che “il 29 giugno 1909, vestito com'era si lanciava nelle acque del Tevere per tentare il salvataggio di una suicida, che, avvinghiatasi al salvatore, ne impediva i movimenti correndo così entrambi il rischio di afogare senza un pronto aiuto”. Citava anche “Gatti Ercole, barcaiuolo degli asfittici”, che quello stesso giorno “tuffavasi, vestito com'era, in soccorso di due persone che avvinghiato erano in procinto di affogare e riusciva nel nobile intento”.

 

di Cinzia Dal Maso
27 marzo 201
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