La 
manipolazione genetica rappresenta uno dei temi più scottanti dell’attuale 
panorama politico e sociale, un discorso impegnativo che affonda le sue radici 
in tempi remoti. I nostri progenitori, secondo le fonti, si sarebbero impegnati 
nel condizionare anche nel fisico lo sviluppo dei loro figli. 
La prima prova selettiva a cui venivano 
sottoposti era al momento della nascita. Non bastava infatti venire al mondo in 
una famiglia romana per esservi allevati, ma occorreva superare l’ostacolo del 
riconoscimento. Appena uscito dal grembo materno, il neonato veniva preso dalla 
levatrice e posto sul suolo della casa, davanti al padre. Se era maschio, figlio 
della moglie legittima e il padre era deciso a tenerlo, lo sollevava da terra, 
riconoscendolo e stabilendo al tempo stesso i suoi diritti su di lui. Se invece 
era una femmina, il padre ordinava semplicemente di nutrirla. Solo allora il 
neonato poteva finalmente ricevere la sua prima poppata, dalla madre o dalla 
balia.
Un padre poteva anche decidere di non 
volere il figlio e lo faceva esporre sulla porta di casa o su un deposito di 
rifiuti, oppure – peggio ancora – lo faceva soffocare o morire di fame. 
L’eliminazione riguardava tutti i neonati gracili, deformi o con segni di 
deficienza. Ogni mostruosità fisica veniva considerata un segno di animalità, ma 
anche un fatto prodigioso, da espiare. Un bambino veniva soppresso perché era 
androgino oppure aveva una testa enorme, da elefante, per cui non sarebbe mai 
stato un uomo. Non c’era rabbia nei confronti dei deformi, spiegava Seneca, 
semplicemente "bisogna separare ciò che è valido da ciò che non può servire a 
nulla".
Anche neonati del tutto normali potevano 
essere abbandonati perché la famiglia era troppo povera per allevarli, il padre 
non voleva dividere il suo patrimonio fra troppi eredi, oppure, come spiegava 
Plutarco, "per non vederli degenerare a causa di una educazione mediocre che 
li porrebbe al disotto della dignità e del livello sociale".
I figli naturali, quando non erano 
esposti, potevano essere allevati dal nonno materno, che dava loro il nome. 
Portavano tutti il prenome dispregiativo di Spurio, ossia "Sputo".
Solitamente, i neonati esposti che 
riuscivano a sopravvivere erano raccolti dai mercanti di schiavi, che li 
crescevano per venderli non appena avevano raggiunto l’età lavorativa. Accadeva 
anche che la famiglia di origine volesse in un secondo tempo riavere indietro un 
bambino. Ad esempio, uno schiavo di Mecenate, di nome Melissus, fu ritrovato 
dalla madre quando era ormai adulto e svolgeva la mansione di bibliotecario per 
il suo padrone. Si rifiutò di seguire la donna e tornare povero. Poco tempo 
dopo, liberato da Mecenate, fu nominato direttore della biblioteca del Portico 
d’Ottavia.
C’erano anche delle finte esposizioni 
per salvare la vita dei neonati: la madre, all’insaputa del marito, affidava la 
sua creatura a dei vicini compiacenti o a dipendenti che la allevavano in 
segreto. Dopo alcuni anni, il bambino diventava schiavo dei suoi educatori, ma 
aveva la possibilità, un giorno, di far riconoscere la sua nascita libera.
La crudele pratica dell’esposizione ebbe 
nel corso dei secoli progressive limitazioni, fino al tempo di Severo Alessandro 
(222 – 235), quando finalmente venne considerata dalla giurisprudenza come un 
omicidio.
I bambini che avevano la fortuna di 
essere accettati dai genitori e di restare nella loro casa, venivano allattati 
fino a tre anni, quando iniziava lo svezzamento.
Il solo nutrimento, però, non era 
ritenuto sufficiente a trasformare un bambino in un uomo: i romani credevano che 
non potesse assumere sembianze umane in modo spontaneo. Lo ritenevano un essere 
molle e informe da indurire e modellare, con trattamenti inumani, ma messi in 
atto per il suo bene. Non si faceva nulla per rendere piacevole la sua vita e 
ogni minimo gesto di tenerezza nei suoi confronti era bandito. Rimaneva a lungo 
solo nella culla. Le fasce dovevano essere un vero tormento: lo stringevano e 
gli impedivano i movimenti, soprattutto all’altezza dei gomiti, polsi, 
ginocchia, anche e caviglie. Le mani gli venivano tenute aperte, mentre delle 
stecche costringevano le gambe a rimanere tese. Le braccia erano mantenute 
accostate rigidamente al corpo. Le fasce si cominciavano ad allentare solo dopo 
il secondo mese di vita, quando gli si liberava il braccio destro, affinché si 
abituasse ad usarlo più dell’altro ed evitasse di diventare mancino. 
Il momento peggiore della giornata 
doveva certo essere quello del bagno. Siccome si pensava che il calore rendesse 
fiacchi, veniva lavato con acqua fredda. La nutrice gli modellava con le mani il 
cranio per renderlo perfettamente rotondo, tentava di plasmargli il naso, la 
mandibola e le natiche, gli tirava il prepuzio.
Le famiglie più ricche cambiavano spesso 
nutrice, per impedire che il piccolo si affezionasse a una di loro.
Si trattava però di attenzioni dettate 
dall’amore. Sappiamo che per Catone il Censore "non esistevano più affari 
tanto pressanti, tranne qualcuno di ordine politico, che gli impedissero di 
assistere la moglie quando lavava o fasciava il bambino. Essa lo nutrì col 
proprio latte e spesso porse la mammella anche ai bambini degli schiavi per 
infondere in essi, col medesimo latte, una disposizione benevola verso il 
proprio figliolo".
In ogni caso, il rigido trattamento 
riservato ai lattanti operava una seconda selezione che veniva superata solo da 
una parte di loro. Non più di due neonati su tre avevano la possibilità di 
sopravvivere a fasce, bagni freddi e modellamenti vari.
A differenza di quanto avveniva in 
Grecia e di quanto accadrà molti secoli più tardi negli Stati Uniti e in Europa, 
i romani non erano assillati da preoccupazioni razziali. Il nome veniva 
trasmesso attraverso la nascita, l’adozione o l’affrancamento e a Roma c’era una 
grande mobilità sociale.
L’argomento sarà ripreso nel corso 
dell’Intervista possibile di "Questa è Roma!", la trasmissione ideata e condotta 
da Maria Pia Partisani, in onda ogni domenica dalle 9.30 alle 10.30 su Nuova 
Spazio Radio (88.150 Mhz): un’ora dedicata agli episodi più curiosi e 
sconosciuti della storia della Capitale, agli aspetti genuini del suo folklore, 
agli aneddoti e alle riflessioni sulla grandezza del mondo antico.