A piazza di Spagna il palazzo dove
soggiornarono a Roma
La casa di Keats e Shelley museo del romanticismo
Il re Vittorio Emanuele III nel 1909 presenziò la cerimonia di inaugurazione
Antonio Venditti
Tra le memorie inglesi presenti a Roma,
di particolare interesse è il piccolo museo al n. 26 del settecentesco
palazzetto a destra della scalinata di piazza di Spagna, simmetrico con l’altro
e ugualmente decorato: il “Keats and Shelley Memorial House”, dedicato anche a
George Gordon Byron (Londra 1788 —Missolungi 1824), che nel 1817 alloggiò nella
piazza, al n. 66, nella casa di fronte al museo.
John Keats (Londra 1795), affetto da tisi - malattia che aveva già provocato la
morte della madre e del fratello Tom - sperando di riacquistare la salute, seguì
il consiglio dei medici e nel settembre del 1820 s’imbarcò per l’Italia con il
fraterno amico, il pittore Joseph Severn. Giunsero a Roma il 15 novembre e
presero alloggio, pagando cinque scudi al mese di pigione, nell’edificio di
piazza di Spagna, affittato a piccoli appartamenti. Si sistemarono al secondo
piano, in due stanze: un saloncino - occupato da Severn - comunicante con una
stanzetta d’angolo - occupata da Keats - con soffitto a cassettoni e caminetto,
provvista di due finestre che si affacciano sulla piazza e sulla scalinata.
I pasti venivano forniti a domicilio dall’“Osteria della Lepre», in via
Condotti, di fronte al “Caffè Greco”, uno dei luoghi di ritrovo preferito dagli
stranieri e soprattutto dagli inglesi.
I due giovani amici - quando le condizioni fisiche di Keats erano ancora
discrete –erano soliti passeggiare lungo le pendici del Pincio. Il clima mite di
Roma, però, non giovava affatto alla precaria salute di Keats, depresso anche
per le critiche sfavorevoli rivolte ai suoi versi e dalla distanza dalla sua
amata. Severn faceva di tutto per alleviarne le sofferenze: affittò perfino un
pianoforte “a scudi 7 di versamento” per rallegrarlo con le melodie di Haydn, ma
inutilmente. Keats, che in patria aveva studiato per diventare chirurgo, sentiva
sempre più avvicinarsi la fine e, in un momento di grande sconforto, chiese
addirittura a Severn di somministrargli una fiala di laudano per porre termine
alla sua esistenza, considerata già “postuma”. Infatti, il 23 febbraio 1821,
morì in una stanzetta lunga tre metri e larga due con soltanto un letto su cui
trascorse la lenta agonia, uno scaffale e un piccolo tavolo.
Fu sepolto a Roma, nel cimitero dei protestanti, nei pressi della Piramide
Cestia. Sulla sua tomba volle inciso: “Qui giace un uomo il cui nome fu scritto
sull’acqua”.
I mobili, dopo la sua morte, vennero dati alle fiamme per misura igienica.
Severn, rimasto a Roma, divenne console britannico.
Un altro poeta inglese, Percy Bysshe Shelley (Field Place, Horsham, Sussex,
1792), ebbe qui l'ispirazione di scrivere un’ode funebre per l’amico Keats. Nel
1822 anche lui morì giovane, annegando nelle acque di La Spezia, in Versilia,
lasciando Mary Wollstonecraft, l’autrice di "Frankenstein".
In seguito il palazzetto fu destinato ad abitazione privata. Fra
gli altri, vi alloggiò il medico svedese Axel Munthe,
fortunato autore della “Storia di S. Michele”, che trasformò il cortiletto sotto
la scalinata della Trinità de’ Monti in una specie di serraglio con una scimmia,
molti cani e perfino una civetta.
La casa venne in seguito acquistata dall’ambasciatore Nelson Gay e da altri
inglesi ammiratori dei due poeti, i quali, nella stanza dove alloggiò Keats,
istituirono un piccolo museo, con le memorie anche di Shelley.
La fondazione fu inaugurata nel 1909 alla presenza del re Vittorio Emanuele III.
Le stanze sono state arredate con librerie, busti, quadri, stampe, di cui una
piccola raccolta è dedicata a piazza di Spagna. Sono conservati manoscritti
originali, ricordi personali di Keats; oltre alla sua maschera mortuaria, la
biblioteca raccoglie opere di altri inglesi che vissero a Roma, guide, diari,
memorie di viaggiatori, libri di letteratura, edizioni rare.
Il 17 dicembre 1936, alla “Keats and Shelley memorial house”, dentro una
cassaforte, non più aperta dalla morte di Nelson Gay, fu trovato, in una scatola
con l’indicazione scritta, un osso combusto, forse di Shelley, e la penna con
cui Vittorio Emanuele III aveva firmato il memoriale per l’inaugurazione dei
museo.
Nello stesso palazzetto, al n. 27, era ubicata nello scorso secolo la “Trattoria
della Scalinata”.
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