Il
solo nome panzanella basta a evocare il profumo della genuinità, del mangiare
semplice e sano di un tempo in cui non si buttava nulla e persino un pezzo di
pagnotta dura poteva diventare in breve tempo una sostanziosa merenda o una
rapida cena. L’origine del nome è incerta, ma si dovrebbe trattare di una parola
composta da pan e zanella. La zana, o zanella, era una zuppiera concava in cui
si disponevano le fette di pane ammollate e ben strizzate per poi condirle con
olio, aceto, sale, pomodori maturi a pezzetti e qualche foglia di basilico
spezzata con le dita. A seconda dei gusti si possono aggiungere, a scelta, una
spruzzata di pepe appena macinato, uno spicchio d’aglio o qualche fettina di
cipolla.
Sembra
persino troppo facile, c’è da fare solo la massima attenzione alla qualità degli
ingredienti, soprattutto l’olio, che deve essere extravergine di oliva. Per
quanto riguarda il pane, deve essere tagliato da una pagnotta casareccia o di
campagna, cotta in un forno a legna. Attenzione anche alla lievitazione, che
deve essere naturale e non ottenuta con il lievito di birra.
Inutile
dare la ricetta da seguire passo passo, prima perché non ce n’è bisogno, poi
perché basta la bella poesia che ci ha lasciato l’indimenticabile Aldo Fabrizi:
"E che ce vo’ / pe’ fa’ la Panzanella?/ Nun è ch’er condimento sia un segreto, /
oppure è stabbilito da un decreto, / però la qualità dev’esse quella. / In
primise: acqua fresca de cannella, / in secondise: ojo d’uliveto, / e come
terzo: quer di-vino aceto / che fa’ venì la febbre magnarella. / Pagnotta
paesana un po’ intostata, / cotta all’antica, co’ la crosta scura, / bagnata
fino a che nun s’è ammollata. / In più, per un boccone da signori, / abbasta
rifinì la svojatura / co’ basilico, pepe e pommidori".