"Nel
mezzo dello studio c’era un divano con le spalle a una grande
vetrata che dava, a destra, in un giardino. Il giardino era uno
scenario vicino di lauri e di cipressi. Ma oltre a questo verde
perenne e grave, che appena imbiondiva al sole di primavera, ci
doveva essere qualche grande albero che perdeva le foglie, un
platano o una magnolia; ricordo bene a certe stagioni quel fruscìo …
E’ strano che questo fruscìo faccia parte dei miei ricordi su quello
studio, e questo sfogliare sia trasferito in un parco anziché fra le
carte del letterato". Così Corrado Alvaro ricordava l’ultima dimora
romana di Luigi Pirandello, in una palazzina in via Antonio Bosio, a
due passi da Villa Torlonia. Una vecchia lapide sul muro della
facciata ricorda il grande romanziere e drammaturgo che qui visse
dal 1933 al 1936.
Il villino fu costruito intorno agli
anni ‘10 del Novecento in una zona allora immersa nel verde in cui
oggi ha sede l’Ufficio centrale metrico del Ministero dello Sviluppo
economico.
Il grande soggiorno-studio, la camera
da letto e la terrazza di Pirandello si trovano all’ultimo piano e
furono donati allo Stato dalla famiglia dello scrittore, con gli
arredi originali e una collezione di libri, dipinti ed oggetti
personali.
Oggi vi ha sede l’Istituto di Studi
Pirandelliani e sul Teatro Italiano Contemporaneo, costituito nel
1962, cui sono affidate la custodia dello Studio, la conservazione e
la catalogazione della biblioteca ricca di oltre 2000 volumi e del
suo archivio di documenti e manoscritti, tra cui gli autografi
dell’Enrico IV, di "Uno nessuno Centomila" e "A’birritta cu’i
ciancianeddi", la versione siciliana del "Berretto a sonagli";
l’Istituto cura la rivista Ariel, quadrimestrale di drammaturgia
edita da Bulzoni e diretta da Alfredo Barbina
E’ lo stesso Pirandello a darcene la
descrizione nella sua novella "Visita": "il mio studio è tra i
giardini. Cinque grandi finestre, tre da una parte e due dall’altra;
quelle, più larghe, ad arco; queste, a usciale, sul lago di sole
d’un magnifico terrazzo a mezzogiorno; e a tutt’e cinque, un palpito
continuo di tende azzurre di seta. Ma l’aria dentro è verde per il
riflesso degli alberi che vi sorgono davanti.
Con la spalliera volta contro la finestra che sta nel mezzo è un
gran divano di stoffa anch’essa verde ma chiara, marina; e tra tanto
verde e tanto azzurro e tanta aria e tanta luce, abbandonarvisi,
stavo per dire immergervisi, è veramente una delizia".
I visitatori rimangono colpiti dagli arredi e da alcuni oggetti
"storici", dalla macchina da scrivere portatile del ’32, al pennino,
alle foto, dai quadri del figlio Fausto, alla divisa da Accademico
d’Italia ancora conservata nell’armadio della camera da letto,
insieme con gli abiti, i cappelli, l’inseparabile bastone.
L’arredo è rimasto quello originale,
sistemato qui 1933, quando lo scrittore vi si trasferì al suo
rientro in Italia, dopo un periodo a Berlino e a Parigi.
Una parte della mobilia - una
scrivania, due librerie e due savonarola - in stile fiorentino,
risale al 1910 e proviene da precedenti abitazioni dello scrittore.
Più recenti sono il grande divano, le poltrone, un’altra scrivania,
alcune scaffalature e la camera da letto, in stile razionale.
Nello Studio Luigi Pirandello portò a
compimento "Pensaci Giacomino!" e "Così è (se vi pare)", ma era
solito incontrarvi parenti e amici. Qui si riunirono a conversare
con lui personaggi del calibro di Lucio d’Ambra, Silvio d’Amico,
Eduardo De Filippo.
Nella sobria stanza da letto con
affaccio sulla terrazza da cui si scorgevano i pini di Villa
Torlonia, Pirandello moriva la mattina 10 dicembre del 1936, alle
8.55, a causa di una polmonite contratta mentre venivano effettuate
le riprese cinematografiche del "Fu Mattia Pascal". E’ ancora
Corrado Alvaro a lasciarci una viva testimonianza del triste
momento: "noi entrammo in quel suo studio, ed era pieno di gente, ma
di gente agitata, in piedi, convulsa, curiosa, che fumava, si
chiamava, parlava ad alta voce, come se il padrone di casa l’avesse
invitata a un ricevimento e tardasse a entrare. ... Entrai nella
camera dove egli giaceva. Era come abbandonata, c’era quel silenzio
sterminato sul lenzuolo che lo copriva delineando quel corpo di
"povero cristo" ... E di là, nello studio, quel chiacchiericcio da
ricevimento, come aspettando che egli apparisse. ... Il giorno
seguente, la nebbia infradiciava gli ultimi fiori secchi di quel
giardinetto dietro a quel cancello di via Antonio Bosio. Un povero
cavallo attaccato al carro dei poveri era fermo sulla strada bagnata
.. La bara di abete tinto da poco con una mano di terra bruna, fu
collocata sul carro, e i pochi amici rimasero fermi davanti al
cancello a vederla partire verso gli alberi brumosi in fondo al
viale".
Si eseguivano così le ultime volontà
dello scrittore, che aveva lasciato precise disposizioni per il suo
funerale su un foglietto ingiallito trovato tra le sue carte: "I.
Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici
preghiera, non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur
cenno. Né annunzii né partecipazioni.
II. Morto, non mi si vesta. Mi
s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun
cero acceso.
III. Carro d'infima classe, quello
dei poveri. Nudo. E nessuno m'accompagni, né parenti né amici. Il
carro, il cavallo, il cocchiere e basta.
IV. Bruciatemi. E il mio corpo,
appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la
cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia
l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra
nella campagna di Girgenti, dove nacqui". Le ceneri, giunte ad
Agrigento solo nel 1946, sono state in seguito sepolte in un roccia
presso la casetta del Kaos.
L’Istituto, che riceve un piccolo
finanziamento dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si
fa anche promotore di attività culturali, presentazioni di volumi,
letture e spettacoli e nel 2008 è entrato a far parte dell'Albo
degli Istituti culturali della Regione Lazio.
Nel corso degli anni il suo archivio
è stato arricchito da varie donazioni, come quelle degli eredi del
commediografo Ugo Betti e dell'attore Alfonso Alfonsini Di Stefano.
Lo Studio è aperto al pubblico ogni
giorno, la mattina, da lunedì a giovedì dalle 9 alle 14, il venerdì
fino alle 15. Gruppi organizzati, associazioni culturali e
scolaresche si ricevono su appuntamento.