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Campanella, "magico" astrologo di Urbano VIII

Le pratiche effettuate per il Pontefice non comportavano patti con il demonio

di Antonio Venditti

 

L’episodio più rilevante della permanenza a Roma di Tommaso Campanella è collegato alla consulenza astrologica effettuata a Urbano VIII, timoroso per le voci sulla sua morte imminente dovute a nefasti aspetti celesti, tanto che da parte spagnola si facevano preparativi per un nuovo Conclave.

Urbano VIII, pensando che in quelle previsioni potesse esserci qualcosa di vero, si rivolse a Campanella, che lo rassicurò con un’attenta indagine del tema natale e dall’estate del 1628 attuò pratiche di magia naturale descritte nel De siderali fato vitando.

Dopo la sua liberazione nel 1629, Campanella visse per cinque anni a Roma, dove fu consigliere di Urbano VIII per questioni astrologiche. Negli Avvisi della città sono frequenti gli accenni agli incontri segreti fra il Pontefice e il frate, che, con cerimonie notturne, illuminate da fiaccole e candele, riuscì a placare i suoi timori, persuadendolo di poter vivere a lungo e in tutta tranquillità.

Ecco la procedura seguita da Campanella: quando i cieli risultano corrotti e l’aria contaminata da semi nocivi, per preservarsi dal contagio bisogna impedire la diffusione dei semi infetti, purificando l’aria e gli ambienti. Occorre delimitare uno spazio separato e ricostruire un ambiente favorevole, contrastando l’oscurarsi del cielo con vesti e addobbi candidi e purificando l’aria infetta con fuochi di legni aromatici, aspersioni di essenze e di acque distillate, diffusione di musiche rasserenanti. Con l’accensione di sette torce raffiguranti il sole e i pianeti, bisogna allestire un cielo simbolico, in miniatura, sostitutivo di quello oscurato e minaccioso.

Mentre Urbano VIII sembrava trarre giovamento da tali consigli, lo scandalo scoppiò nell’autunno del 1629 con la pubblicazione dell’opuscolo De fato, settimo e ultimo libro degli Astrologicorum libri, consegnato da Campanella a un "insidiosus frater" che l’aveva fatto pervenire a un tipografo a sua insaputa con il proposito di alienare al suo autore la benevolenza del Pontefice.

All’inizio del 1629 Campanella era stato prosciolto da ogni imputazione e il 2 giugno il Capitolo generale dei domenicani l’aveva insignito del titolo di magister theologiae.

Gli effetti negativi per Campanella, derivati dalla stampa del De fato non mancarono ad arrivare: sospensione della nomina a consultore e presentazione degli Astrologicorum al Pontefice, accompagnata dall’accusa di disobbedienza dell’autore per aver stampato senza le prescritte autorizzazioni, nonché eresia e superstizione.

Urbano VIII, temendo di essere sospettato di pratiche superstiziose, si adirò notevolmente, spingendo Campanella a scrivere un Apologiticus in difesa dell’opuscolo, in cui, allontanate le accuse di eresia, provò come le pratiche suggerite dovessero essere considerate un rimedio lecito in quanto naturale, alieno da patti demoniaci. Con tutta la sua dottrina controbatté poi le obiezioni sulle virtù dei numeri, il valore simbolico della rappresentazione, i poteri delle immagini astrologiche.

L’intransigenza contro l’astrologia di Urbano VIII culminò nel processo agli astrologi dell’estate 1630, con la carcerazione e la morte per sospetto di veleno di don Orazio Morandi, abate del convento di Santa Prassede, uno dei centri più attivi di pronostici e conciliaboli.

Nella primavera del 1631 seguì la promulgazione della Bolla Inscrutabilis, che vietava ogni tipo di divinazione, prevedendo pene severissime, dalla confisca dei beni alla condanna capitale, agli autori di predizioni sulla vita del Pontefice e dei suoi familiari.

 

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