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Il carciofo, dall’Egitto alle tavole di Pasqua

I romani ne apprezzavano le qualità alimentari e medicinali

di Annalisa Venditti

Sulle tavole imbandite per la Pasqua non dovrà mancare uno degli ortaggi più gustosi della nostra tradizione culinaria, il carciofo, rigorosamente romanesco, grosso e tondeggiante, e preferibilmente cimarolo, ossia proprio il capolino centrale di ogni pianta, il più ricercato ma anche il più costoso. Osservandone attentamente la forma, infatti, si capisce subito che non si tratta di un frutto, ma di un’infiorescenza. La definizione botanica di Cynara Scolymus richiama il mito della bella e sfortunata ninfa Cynara, dai lunghi capelli color cenere, di cui si era invaghito Giove. Avendo osato respingere il nume, la fanciulla fu trasformata in una pianta, spinosa e pungente, come suggerisce l’aggettivo greco scolymos. Il nome attuale, invece, deriva dal termine arabo harsciof, o al-kharshuf, che significa spina di terra e pianta che punge. Secondo alcuni l’ortaggio era già conosciuto e apprezzato dagli egiziani, che lo avrebbero conosciuto dagli etiopi.

Certamente i romani ne facevano largo uso, come testimoniano Plinio il Vecchio e Columella, che nel suo "De Re Rustica" ne conferma la coltivazione sia a scopo alimentare che medicinale. Il carciofo, infatti, diuretico e leggermente lassativo, stimola le funzioni epatiche, esercitando un’azione benefica nelle forme itteriche. E’ inoltre antinfiammatorio e antipruriginoso.

Secondo Apicio, il raffinato gastronomo del I secolo d.C., i carciofi si potevano mangiare conditi con la solita salsa di pesce, olio e fettine di uova sode. Oppure, si dovevano ricoprire con un trito di erbe aromatiche fresche: ruta, menta, coriandro e finocchio, aggiungendo poi pepe, ligustico, miele, salsa di pesce e olio. In un’ultima ricetta i carciofi, sempre prima lessati, sono insaporiti con pepe, comino, salsa di pesce e olio.

Nel Medioevo il carciofo sembra fosse caduto nell’oblio, anche se la mancata citazione nelle fonti letterarie non ne fa escludere del tutto l’uso. In ogni caso, con il Rinascimento anche il saporito ortaggio conobbe una sua seconda vita. Un’ampia e dettagliata letteratura ne registra la coltivazione in varie regioni italiane. Pietro Mattioli, famoso medico senese vissuto nel XVI secolo, scriveva nel suo trattato sulle piante medicinali: "veggonsi ai giorni nostri in Italia carcioffi di diverse sorti: spinosi, sia serrati che aperti, non spinosi, rotondi, lunghi, aperti e chiusi, e di quelli che rassemblano alle pine dei pini".

L’argomento verrà approfondito nell’Intervista possibile di "Questa è Roma!", la trasmissione ideata e condotta da Maria Pia Partisani, in onda ogni sabato mattina dalle ore 11 alle 12 su Nuova Spazio Radio (88.150 MHz).

 

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