La festa delle schiave nell’antica
Roma
Il 7 luglio, nell’antica
Roma, si celebravano le Nonae Caprotinae. In questo giorno le donne
compivano sacrifici in onore di Giunone sotto un fico selvatico in
memoria di un fatto, forse leggendario, accaduto all’epoca dello
scontro tra Galli e Romani (390-389 a.C.).
Alcune popolazioni latine vicine a Roma, minacciando guerra,
ricattarono l’Urbe chiedendo donne sposate e nubili. "I Romani –
scrive lo storico greco Plutarco – rimasero incerti sul da farsi:
temevano la guerra nella loro situazione ancora vacillante, d’altra
parte sospettavano che la richiesta delle donne fosse un espediente
per ottenere degli ostaggi". Ma una servetta di nome Tutula o
secondo altri Filotide "si presentò alle autorità e consigliò di
mandare ai Latini lei ed altre schiave, le più avvenenti e di nobile
aspetto, adorne come matrone e spose di buona famiglia; al resto
avrebbe pensato lei. Le autorità si lasciarono persuadere, scelsero
quante servette la fanciulla giudicò necessarie, le adornarono di
vesti e gioie e le consegnarono ai latini, che erano accampati non
molto lontano dalla città". I nemici, abilmente ingannati, pensarono
di aver ricevuto in dono le donne richieste. Tutula aveva trovato la
soluzione al problema con un astuto stratagemma. Scesa la notte,
mentre i nemici gozzovigliavano e le ragazze facevano sparire le
loro spade - racconta Plutarco - "Tutula salì su un grande albero di
fico selvatico, si coprì alle spalle col mantello e sollevò in
direzione di Roma una torcia. Era il segnale di via all’attacco
romano".
"I romani – continua lo Storico – arrivati alla palizzata dei
nemici, che non sospettandoli erano immersi nel sonno, conquistarono
l’accampamento e li uccisero quasi tutti."
Da quel giorno, per ringraziare Tutula e insieme a lei tutte le
schiave romane, il 7 luglio si celebravano a Roma le "ancillarum
feriae", la festa delle schiave.
In memoria di quel salvifico gesto, le schiave rindossavano le vesti
da matrone e insieme alle loro signore compivano sacrifici. Ma c’è
di più. Durante tutto il giorno le ancelle potevano allegramente
girare per le vie della città simulando combattimenti e deridendo i
passanti. Era loro concesso mangiare sotto frasche di fico. "Tale
giorno – conclude Plutarco – è chiamato None Capratine dal nome del
fico selvatico su cui la fanciulla alzò la fiaccola. Il fico
selvatico è infatti detto in latino caprificus. Altri studiosi però
affermano che gran parte del cerimoniale e del frasario della festa
alluda alla fine di Romolo, che scomparve alla medesima data fuori
porta, avvolto improvvisamente da tenebre e tempeste, come alcuni
pensano, durante un’eclisse di sole".
di
Annalisa Venditti
luglio 2006 |