Archeologia della acque: un’identità sommersa
Pochi i monitoraggi capillari e i fondi a disposizione per un’attività
costosa E’ forse l’archeologia, fra tutte le scienze, quella maggiormente vittima nel giudizio dell’opinione pubblica di un vuoto romanticismo, spesso confuso a mistero ed avventura. Non è solo colpa di illustri pellicole cinematografiche, che molto hanno puntato in questa direzione, piuttosto occorre parlare di una meccanica associazione di idee tra l’antico e l’arcano, nell’immaginario collettivo avvolto da un fascino enigmatico. Eppure i cosiddetti “misteri” dell’archeologia, in proporzione a quante volte questa parola viene adoperata, sono decisamente pochi: gli strumenti affinati della scienza antiquaria, esercitati nel corso dei secoli, hanno portato ad una soddisfacente conoscenza del mondo antico. Non vanno meglio le cose per l’archeologia subacquea, sorella “gemella” dell’archeologia tradizionale: complice il fascino dei fondali marini, questa disciplina viene spesso associata all’aspetto ludico dell’immersione, in cui l’alone del mistero si moltiplica, ovviamente, all’ennesima potenza. I problemi, tuttavia, sono altri, considerando che spesso i recuperi di tesori sommersi sono stati fortuiti e non derivati da un capillare monitoraggio subacqueo. Durante un’immersione del turista romano Stefano Mariottini furono, ad esempio, avvistati i Bronzi di Riace, mentre alla motopesca “Capitan Ciccio” guidata da Francesco Adragna va il merito di essersi imbattuta nello splendido Satiro di Mazara del Vallo. “L’archeologia delle acque in Italia – spiega Piero Pruneti, direttore della rivista Archeologia Viva e da anni impegnato nella formazione subacquea - non esiste come attività di ricerca coordinata, dotata di riferimenti scientifici istituzionali, di finanziamenti programmati e di mezzi operativi comuni. Dopo un periodo di belle speranze, fra gli anni Ottanta e Novanta, in cui la tutela e l’indagine subacquea sembravano aver trovato un punto di riferimento centrale nel Servizio tecnico per l’archeologia subacquea, si è azzerato tutto e si è tornati alle singole iniziative delle varie soprintendenze più o meno sensibili al problema e più o meno capaci di trovare i soldi per un’attività che rimane molto costosa”. “Si può quindi parlare – continua - di un’attività sporadica, capace di raggiungere anche risultati notevoli non in un ambito territoriale, ma in singoli casi, caratterizzata dall’assenza di precisi orientamenti metodologici e amministrativi. Poco per l’archeologia delle acque ha fatto il governo precedente, nulla sta facendo l’attuale. Fra le eccezioni di questo panorama deludente si segnala l’ottimo lavoro della Soprintendenza archeologica del Veneto nella laguna di Venezia. Dopo molti anni di indagini e monitoraggi sistematici, è arrivata alla realizzazione di una carta informatizzata dei beni sommersi in tutto lo specchio lagunare: questo offre oggi la possibilità di programmare negli anni gli interventi di ricerca e di ridurre i rischi della cosiddetta archeologia d’emergenza. Purtroppo si tratta di un caso isolato o quasi”. |
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