Un palazzo ricorda il soggiorno di Giorgio Castriota

"Scanna Becchi", l’antica piazza degli immigrati albanesi a Roma

di Antonio Venditti

 

La presenza degli immigrati dell’est a Roma, in particolare degli albanesi, non è circoscritta agli avvenimenti di questi ultimi tempi, ma un fenomeno da collegare alla nostra storia: basta pensare che la prima trasmigrazione di albanesi sul suolo italiano si verificò in Calabria nel 1448, sotto la guida di Demetrio Reres, per proseguire poi in Sicilia. La seconda fu tra il 1459 e il 1461, quando Giorgio Castriota guidò le milizie albanesi in Puglia per difendere il re Ferdinando.

La più numerosa invasione di profughi, dietro la spinta dell’oppressione turca, alla quale seguirono altre di entità minore, avvenne intorno al 1467, subito dopo la morte del principe Giorgio Castriota, soprannominato dai suoi nemici Scanderbeg, ossia Alessandro il Grande, che dal 1443, per oltre 22 anni, si oppose strenuamente all’occupazione ottomana della "terra delle aquile".

La presenza albanese è documentata a Roma nella zona retrostante la chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio nella piazza di Trevi, nell’interna piazzetta Scaderbeg, dove sorge un edificio noto esclusivamente per aver ospitato Giorgio Castriota. La piazzetta, tra l’omonimo vicolo e quello dei Modelli, è stata probabilmente una delle prime a Roma ad avere un nome straniero, che i romani corruppero in una forma dialettale dal vago sentore di bassa macelleria, "Scanna Becchi", come figura in una pianta del 1614.

Scanderbeg, nel corso della sua strenua resistenza all’invasione ottomana, tra il dicembre del 1466 e la primavera del 1467 venne per la terza volta in Italia a chiedere aiuti a Paolo II, che elargì 5000 ducati, impegnandosi ad intervenire presso le corti italiane perché lo aiutassero con uomini e mezzi. Per volontà del Pontefice fu offerto a Scanderbeg come dimora palazzo San Marco. Sembra, però, che il principe preferisse soggiornare presso l’abitazione di un mercante epirota, nel palazzo che sarà poi conosciuto con il nome di Scanderbeg. Attraverso i secoli sono sorte tutta una serie di leggende, tra cui quella dell’obbligo per gli eredi di Scanderbeg di conservare la sua immagine, dipinta sul medaglione all’ingresso dell’edificio, pena la perdita del palazzo. Ma non è da escludere che l’edificio fosse destinato ad accogliere una piccola colonia di albanesi, la prima a Roma, costituita da profughi e pellegrini fedeli alla religione cristiana.

Il palazzo conserva ancora notevoli elementi dell’architettura originaria. Il medaglione, all’interno di un sovrapporta a targa, reca l’effigie dello Scanderbeg dipinta a mezzo busto e di profilo, con indosso un robone rosso ed una stola ricamata in oro e sul capo il tocco anch’esso rosso. Si deve a tale abbigliamento e all’imponenza della figura l’equivoco degli abitanti del luogo, che per lungo tempo hanno indicato, in tutta buona fede, l’edificio come il "Palazzo del Cardinale", credendo di riconoscere in quel personaggio il ritratto di un illustre porporato, naturalmente trascurando di leggere l’iscrizione.

Attualmente è sede del Museo delle Paste Alimentari.

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