HomeSpecchio RomanoPubblicazioniSiti amiciMotore di ricercaAudio & VideoSpigolature Pagine PDF

 

i giochi di natale

 

La poesia romanesca è ricca di briose descrizioni popolari

La tombola di Natale
rallegra "casa nostra"

 A Natale, il pranzo era una vera e propria kermesse gastronomica, iniziata con il tradizionale brodo di cappone con i cappelletti e proseguita con una ricca lista di portate che davano vita a un animato e tradizionale folklore domestico, facendo puntualmente onore all’antico detto: "A quel che spendi oggi non badare - Solo una volta l’anno vien Natale".

Giunto il momento di sparecchiare la tavola, in rumorosa e gioconda baraonda si prendeva di nuovo posto per giocare a tombola con grande gioia dei più piccoli che speravano in portentose vincite, ma con visibile noia dei più anziani che, appesantiti dalle pantagrueliche libagioni, avrebbero preferito fare in santa pace una ristoratrice "pennichella". Alla fine, le insistenze dei giovani vincevano la ritrosia dei vecchi che finivano per accondiscendere al loro prepotente richiamo.

I poeti dialettali hanno raccontato con i loro versi la festosa usanza della tombola natalizia, tanto che la letteratura romanesca ne fornisce numerosi esempi, ricchi di verve popolare.

Ecco come Antonio Ilardi racconta con un sonetto una tombola del 1883 in cui emerge tutta una nomenclatura popolare relativa all’estrazione dei numeri, ancor oggi in voga, seppur in minima parte: "- ‘Mbè je la famo?... Tiro?... sete pronte? / - Aspetta, famme mette armeno a sede... / - Tira piano... - Che sete sorde e tonte? / - Da sta parte nemmanco ce se vede! / - Fatte imprestà l’occhiali dar Curato! / - Stateve zitto là... perdete er fiato. / Magara tutto!... - E daje?... — Purcinella (75) / La Purce (38), li Pollastri (27), er sor Ninetto (1), / Moneta(26), Madre (52), Pena (51), Carettella (22), / Bacio (2), la Caponera (14), er Diavoletto (13), / Er Prete (28), er Fiume (81), avò, Papa Leone (58), / Zero er più vecchio (90), er Gatto (3), un bel Lampione (10) / - E’ uscito er venticinque?... — Sta in padella! / - Statece attenta... - Che ‘n se po’ arisponne? / - Tavola apparecchiata (44), la Barella (16), / Li Pidocchi (37), le Gamme delle Donne (77), / Er Frate (43), li Palloni (88), la Lanterna (54)... / - Abbasta!!! sì ‘umme sbajo è la quaterna. / - Che culo! — Cuminciamo a uprì er soffietto? / - State zitte, nun fate confusione. / - Che te fa tazza? magnete l’aietto. / - Si seguita accusi fo’ napulione. / - Tiro?... Er Natale (25)... — Mette, Crementina... / - Basta! colla medesima: cinquina! / - Daje! ... - Scànnete - è escito er trentanove? / - Sta a mollo che s’asciutta! — Gallinaccio (6), / Fratello (89) - Sta defora er dicinnove? / - Vierrà! - Cortello (41), Foco (8), Campanaccio (9), / La Pulitica sporca (39), Imbriacone (19) / - Tommola! - Je s’è aperto er chiccherone. / - Reggistra sì ciammanca quarche palla... / - Hai voja a baccajane, mò è finito... / - L’ha contate du’ vorte Rosa e Lalla / - Ma conta. — Va a contalle a tu marito. / - Storcete puro er collo faccia bella... / - E’ pagabile a vista... la cartella!"

Pietro Gibertoni, poeta vissuto tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, dà una sua gustosa interpretazione di una "Partita a tombola", appena terminato il pranzo di Natale: "- Allora cominciate a perde’ er fiato! - / Trentuno, trenta, tretatré — E smucina!- / Cinquanta e sessantuno rivortato, / trentotto — E daje giù co’ sta trentina! / - Dieci, pulenta, ventisei Pilato... / - Tireme er ventinove, Teresina! - / - Ecchelo er ventinove - L’ha chiamato! - / - Davero? Allora, ecchela qua: cinquina! - - / Sta fermo co’ le mano. - Sei, pangiallo. - / - Ma de chi so’ sti piedi. E’ ‘na disdetta, / è ‘n’ora che me stanno a pistà un callo! - / Pietruccio, tonto già dar vino e er sonno / se sbaja co’ li piedi de Ninetta / e pista invece quelli de su nonno!".

Anche se oggi le usanze appaiono alterate e nonostante che i romani non abbiano più lo stomaco "foderato de bandone" come i progenitori dell’Ottocento, non pochi, seppur con maggiore attenzione, si lasciano sfuggire l’occasione di rimanere fedeli al pranzo di Natale, secondo le usanze gastronomiche "de casa nostra". Non ultimo, sopravvive il rito della tombola che ancor oggi si presta a momenti di allegria e a battute spiritose.

 di Antonio Venditti

 

I giochi di ieri rivivono oggi

I Saturnalia, un’antica tradizione
“in tavola” a dicembre

Tempo di Natale, tempo di giochi. Sarà lo spirito conviviale che anima i giorni di festa, sarà il piacere di trovarsi intorno ad un tavolo a tentare in compagnia la sorte, fatto sta che dicembre è, tra tutti i mesi, quello per eccellenza dedicato al gioco in famiglia. Una tradizione antichissima che dobbiamo far risalire al tempo dei nostri progenitori, quando a Roma, onorando il dio Saturno, si festeggiavano i Saturnalia. All’epoca dell’imperatore Domiziano (68-94 d.C.) le celebrazioni duravano sette giorni, dal 17 al 23 dicembre. In questo periodo, proprio come a Natale, si scambiavano doni bene auguranti ed il popolo, gioioso, si aggirava per le strade gridando: “Io Saturnalia, bona Saturnalia!”, una formula molto simile al nostro “buon anno”. Per l’occasione le scuole ed i tribunali rimanevano chiusi, i militari ottenevano le licenze e, in via del tutto eccezionale, gli schiavi potevano mangiare al tavolo con i loro padroni. Tra le concessioni della festa, c’era anche quella di permettere il gioco d’azzardo, proibito dalla legge negli altri periodi dell’anno. Una misura precauzionale dello Stato: intere fortune potevano essere mandate in rovina, tanto era diffuso presso gli antichi il vizio del gioco! Scrive Marziale in un epigramma: “abbandona un po’ l’austerità / ecco che Dicembre libero dalle leggi / fa suonare qua e là gli incostanti bossoli / e giuoca alla fossetta con l’astragalo sbarazzino”.

Capita aut navia (il nostro “testa o croce”), gli astràgali (ossicini di animali) lanciati sulle tabulae lusoriae, vere e proprie tavole da gioco, o in fossette, i dadi (aleae, tesserae), la morra e diversi tipi di “dame” con pedine erano i principali passatempi dei nostri antenati. Durante gli altri periodi dell’anno occorreva trovare un posto un po’ appartato per non dare troppo nell’occhio ed evitare le pene dell’edile. Pare che persino l’imperatore Augusto, celebre per la sua morigeratezza, fosse un accanito giocatore e, contravvenendo alla legge, si concedesse questo svago fino in tarda età, anche nei periodi dell’anno in cui non era consentito. Di poco si accontentavano i bambini, il cui “patrimonio” poteva essere un bel sacchetto di noci. La maggior parte dei loro giochi si basava infatti su queste “biglie” facilmente reperibili. Potevano divertirsi con le “nuces castellatae”, ossia cercando di lanciare una noce su una base formata a terra da altre tre. Un’asse inclinata costituiva una divertente variante: facendo rotolare sopra le noci, si vincevano quelle che a terra venivano urtate. Il gioco del “Delta” presupponeva maggiore abilità e consisteva nel centrare, da una certa distanza, il punto più difficile del bersaglio, ossia il vertice di un triangolo disegnato al suolo. La bravura dei piccoli giocatori si poteva misurare anche lanciando le noci in un recipiente dal collo molto stretto. Piccoli svaghi, a cui era più facile dedicarsi nell’amato periodo delle vacanze.

di Annalisa Venditti

 

WWW.SPECCHIOROMANO.IT - Rivista telematica di Cultura
Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 224 / 2013 del 25 settembre 2013
Copyright 2003-2022 © Specchio Romano  - webmaster Alessandro Venditti

Contatore siti