Due sonetti del Belli descrivono la sacra rappresentazione
Anche Augusto e la Sibilla nel presepe dell’Ara Coeli
di Cinzia Dal Maso e Antonio Venditti

"Semo stati a vvedé ssu a la Rescèli / er presepio, ch’è ccosa accusí rrara, / che ppe ttiené la ggente che ffa a ggara / ce sò ssei capotori e ddu’ fedeli". Così inizia un celebre sonetto di Giuseppe Gioachino Belli del 27 dicembre 1932 dedicato a uno dei più belli e amati presepi romani, quello allestito ogni anno fin dal 1774 dai frati zoccolanti nella seconda cappella a sinistra della basilica di Santa Maria in Ara Coeli. Il poeta, per bocca di un popolano, descrive con toni ammirati e vivaci la ricchezza della sacra rappresentazione, che ancora oggi attrae un gran numero di fedeli, disposti a inerpicarsi sui 124 gradini di marmo che portano alla chiesa. "L’angeli, li somari, li cammeli, / si li vedete, llí stanno a mmijjara: / c’è una Grolia che ppare la Longara; / e cce se pò ccontà lli sette sceli". Certo il popolano esagera, parlando di migliaia di angeli, somari e cammelli e paragonando il fondale a una delle strade più lunghe e dritte della vecchia Roma. Non mancano nemmeno gli anacronismi: "Indietro sc’è un paese inarberato /  dove sarta sull’occhi un palazzino, / che ddev’èsse la casa der curato". Ecco ora la descrizione dell’elemento più importante: "e avanti, in zu la pajja, sc’è un bambino, / che mmanco era accusí bbene infassciato / er fío de Napujjone piccinino". Si riferisce al veneratissimo Bambinello, scolpito a Gerusalemme, alla fine del Quattrocento, da un religioso francescano, da un pezzo di legno d’ulivo dei Gethsemani. Secondo una pia tradizione, la statuetta, alta circa 60 centimetri, sarebbe stata dipinta dalla mano dalla Divina Provvidenza. "La fama dei suoi miracoli – scriveva il Belli – chiama questo Bambino a visitare qua e là gl’infermi disperati di salute, e ciò accade allorché lo stesso corpo di Cristo nell’eucarestia non gli abbia risanati. I Religiosi zoccolanti lo trasportano in cocchio a passo lento". Si credeva che, in caso di grazia, le sue labbra divenissero rosse, mentre si facevano bianche quando non c’era più speranza. Padre Casimiro Romano racconta, nelle sue "Memorie storiche", che nel 1647 fu rubata ed i frati si videro costretti a sostituirla con una copia. Una notte, sentirono bussare alla porta del convento, mentre le campane di Roma suonavano festose. Andarono ad aprire e trovarono il Bambinello che, da solo, era tornato a casa: naturalmente, doveva essere stato riportato dal ladro, pentito del suo gesto sacrilego. La copia venne donata al convento francescano di Giulianello presso Cori e si trova ancora nella chiesa parrocchiale del paese.

Da Natale all’Epifania il Bambinello, stretto nelle fasce in tessuto dorato tempestate di gemme, doni ed ex-voto, veniva esposto nel Presepe. Purtroppo nel 1994 la statuetta è stata nuovamente rubata, ma stavolta non è tornata a casa: tutte le ricerche si sono rivelate vane. Ancora una volta, i fedeli si devono accontentare di una copia.

Il Belli aveva parlato di altri personaggi del presepe dell’Ara Coeli in un altro sonetto del gennaio dello stesso anno: "Er boccetto in perucca e mmanichetti / è san Giuseppe spóso de Maria. / Lei è cquella vestita de morletti / e de bbroccato d’oro de Turchia".  Continua il popolano: "Cuello a mezz’aria è ll’angelo custode /  de Ggesucristo; e cquelli dua viscino, / la donna è la Sibbilla e ll’omo Erode. /  Lui disce a llei: «Dov’ello sto bbambino / che le gabbelle mie se vò ariscòde?». / Lei risponne: «Hai da fà mórto cammino»". In questo antico presepe ci sono infatti due personaggi veramente insoliti, che non sono però Erode e la Sibilla, come credeva il protagonista del sonetto. Si tratta di Augusto e della Sibilla Tiburtina, posti a ricordo della leggenda medioevale secondo la quale la chiesa sarebbe stata edificata in seguito alla profezia ricevuta dal primo imperatore di Roma. A quest’ultimo la Sibilla avrebbe annunciato la nascita di Cristo, mostrandogli l’altare del figlio di Dio.

Davanti al presepe dell’Aracoeli i bambini recitavano una breve poesia o un piccolo, ma dotto sermone. "Sono autentiche prediche in grande stile – annotava nel 1853 Ferdinando Gregorovius – alle quali non mancano nemmeno importanti citazioni".

Dell’argomento si parlerà a Nuova Spazio Radio (88.100 MHz), nel corso dell’Intervista possibile di "Questa è Roma", il programma ideato e condotto da Maria Pia Partisani, in studio con Livia Ventimiglia il sabato dalle 10 alle 11.

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