Il mistero di un nome : “S. Caterina della Rota”
Tra piazza Farnese e la chiesa di San Giovanni de’ Fiorentini, si apre sulla sinistra di via Monserrato un largo barocco giunto quasi intatto fino a noi, la piazzetta di Santa Caterina della Rota: quasi un area di rispetto di fronte all’omonima chiesa. La piazza risulta delimitata sul fondo dalla chiesa di Santa Caterina della Rota, a destra dal settecentesco palazzo Mastrozzi (Graziosi), a sinistra dal fianco della chiesa di San Girolamo della Carità. Il quarto lato, che coincide con via Monserrato, è oggi uno stonato rifacimento del Collegio Inglese attiguo alla chiesa di S. Tommaso di Canterbury. Sono ancora visibili nella zona chiari segni di un impianto urbanistico anteriore: l’origine dei caseggiati probabilmente risale al Medioevo, ma non sono visibili testimonianze dell’epoca, mentre alcune case che formano l’insula retrostante la chiesa presentano le strutture del piano terra tipiche della seconda metà del XVI sec., così come i portoncini dal caratteristico bugnato. L’aspetto attuale della piazza andò formandosi definitivamente verso la metà del XVIII sec., come dimostra l’incisione del Vasi del 1756 al Museo di Roma. Ancor oggi si ignora quando e perché la chiesa venne intitolata a Santa Caterina della Rota. La questione, molto controversa, ha dato luogo a diverse ipotesi, nessuna delle quali risolutiva. La chiesa, una delle più antiche del rione Regola, ricordata nei Mirabilia con il nome di “S. Maria in Caterina”, figura in una bolla di papa Urbano III del 1186 come parrocchia. In documenti successivi fu detta: “Catener”, ”S. Mariae et S. Catherinae” (1224), “S. Mariae in Catenera” (1261-1264), “S. M. in Cateneri”, nel Liber Anniversariorum della Confraternita del Gonfalone (1490) “S. Catherine in catheneri”, successivamente “S. Catherinae”, “S. Catharinae in catinari “, per giungere all’attuale denominazione di Santa Caterina della Rota che appare nell’itinerario del Vasi del 1791. La spiegazione dell’Huelsen, che fa derivare il nome da qualche pia benefattrice appartenente ad un’illustre famiglia, non chiarisce il motivo di tanti storpiamenti. Non convince neanche l’Armellini, che fece derivare il nome dal vocabolo “de catenariis”, riferendosi ad una relazione di visite della chiesa del 1630, in cui si dice che di fronte sorgeva “ l’Hospedale di quei che si riscattavano in barberia da mani d’infedeli “, i quali in segno di ringraziamento per l’avvenuta liberazione offrivano alla chiesa, come ex voto, le catene a ricordo della loro prigionia. Il Cecchelli, invece, riteneva si trattasse di catene di veri malfattori, poiché già esisteva il “ Catener “, ossia il carcere, menzionato nel Catalogo di Cencio Camerario. Ma anteriormente al XV sec. il palazzo Savelli che sorgeva nella zona, conosciuto tristemente come Corte Savella, non era stato ancora adibito a luogo di pena. L’enigma esiste ancora. La chiesa nel 1630 apparteneva al Capitolo Vaticano che la diede poi alla Compagnia di S. Antonio da Padova. Nel 1932 fu affidata da Pio XI all’Arciconfraternita di S. Anna dei Parafrenieri. L’avv. Michele Gigli vi fondò la Compagnia delle Sorelle della Carità per l’assistenza dei cronici a domicilio. La costruzione attuale è databile alla fine del Cinquecento: fu restaurata tra il 1580 ed il 1591 probabilmente su progetto di Ottaviano Mascherino conservato nell’Accademia di S. Luca. Nel disegno firmato compaiono la pianta della chiesa e le case annesse sulla sinistra. L’originaria porta laterale, benché murata è ancora visibile sulla via in Caterina. La facciata per tutto il Seicento aveva ancora forma medioevale e l’interno presentava il tetto con le strutture in vista. La chiesa venne nuovamente restaurata verso il 1730, poi nel 1857. La facciata attuale è il risultato dei restauri operati nel XVIII sec. Presenta uno sviluppo verticale ed è racchiusa da doppie lesene laterali corinzie, sormontate da una trabeazione. La parte centrale, più alta, è raccordata alle lesene da due volute. Il coronamento è costituito dal timpano. Il portale, con una cornice continua, termina con un timpano curvo interrotto al centro. Lo sovrasta una lunga finestra, racchiusa da una movimentata cornice con superiormente lo stemma del Capitolo Vaticano. L’interno, anch’esso settecentesco, è a una sola navata. Ha come elemento particolare il coro triabsidato, raro nel Cinquecento e riconducibile perciò alla originaria forma medioevale della chiesa. Il soffitto a cassettoni policromi presenta gli stemmi di Sisto V e quelli aggiunti del Capitolo Vaticano: proviene dalla demolita chiesa di S. Francesco d’Assisi a ponte Sisto. A destra dell’entrata si vede un grande affresco incorniciato di Girolamo Muziano (1528-92), raffigurante la “ Fuga ed il riposo in Egitto “, una pregevole rappresentazione di paesaggio notturno. Segue, nel secondo archivolto, un crocifisso ligneo del Cinquecento. Subito dopo, su di un altare, entro una teca chiusa da un vetro, sono le statue vestite di S. Anna e della Madonna, provenienti dal Monastero della SS. Concezione in Campo Marzio. Sull’altare maggiore è il quadro di Santa Caterina della Rota circondata da angeli, opera manieristica di Jacopo Zucchi. Sempre nella tribuna dell’altare maggiore, a sinistra, è una splendida custodia in marmo rinascimentale per l’Olio Santo. Sull’altare del terzo archivolto a sinistra (Cappella del Monte) è un affresco raffigurante la “Madonna con le Sante Caterina ed Apollonia” di scuola tosco-romana o del Vasari. Al di sopra è una piccola Annunciazione. L’archivolto successivo accoglie la “Decapitazione di Santa Valeria”, di G. A. Galli detto lo Spadarino. Nel quadro è rappresentato con cruda realtà il miracolo per il quale la martire Valeria, decapitata, avrebbe portato la propria testa a S. Marziale, primo vescovo di Limoges, mentre celebrava la messa. A sinistra dell’entrata, su di un pilastro, è la lapide del 1782 che ricorda il celebre incisore Giuseppe Vasi, qui sepolto. Nella chiesa doveva trovarsi anche una statua di S. Caterina della Rota. Infatti il Vasi, nell’Itinerario del 1791, riporta che nell’interno “si vede una statua antica, a cui fu aggiunta una palma ed una mezza ruota per farle rappresentare S. Caterina" ; inoltre, G. Battista Cipriani, nella “Descrizione di Roma” del 1838, parla di una “ statua antica ridotta raffigurante S. Caterina d’Alessandria". |
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