Il mistero di un nome : “S. Caterina della Rota”

  

 di Antonio Venditti

Tra piazza Farnese e la chiesa di San Gio­vanni de’ Fiorentini, si apre sulla si­nistra di via Monserrato un largo barocco giunto quasi intatto fino a noi, la piazzetta di Santa Caterina del­la Rota: quasi un area di rispetto di fronte all’omo­nima chiesa.

La piazza risulta delimi­tata sul fondo dalla chiesa di Santa Ca­terina della Rota, a destra dal settecentesco pa­lazzo Mastrozzi (Graziosi), a sinistra dal fianco della chiesa di San Girolamo della Carità. Il quarto lato, che coin­cide con via Monserrato, è oggi uno stonato rifacimento del Collegio In­glese attiguo alla chiesa di S. Tom­maso di Canterbury. Sono ancora vi­sibili nella zona chiari segni di un impianto urbanistico anteriore: l’ori­gine dei caseggiati probabilmente risa­le al Medioevo, ma non sono visibili testimonianze dell’epoca, mentre al­cune case che formano l’insula retro­stante la chiesa presentano le struttu­re del piano terra tipiche della secon­da metà del XVI sec., così come i portoncini dal caratteristico bugnato. L’aspetto attuale della piazza andò formandosi definitivamen­te verso la metà del XVIII sec., come dimostra l’incisione del Vasi del 1756 al Museo di Roma.

Ancor oggi si ignora quando e per­ché la chiesa venne intitolata a Santa Caterina della Rota. La questione, molto controversa, ha dato luogo a diverse ipotesi, nessuna delle quali risolutiva. La chiesa, una delle più antiche del rione Regola, ricordata nei Mirabilia con il nome di “S. Maria in Caterina”, figura in una bolla di papa Urbano III del 1186 come parrocchia. In documenti succes­sivi fu detta: “Catener”, ”S. Mariae et S. Catherinae” (1224), “S. Mariae in Catenera” (1261-1264), “S. M. in Cateneri”, nel Liber Anniversariorum della Confraternita del Gonfalone (1490) “S. Catherine in catheneri”, succes­sivamente “S. Catherinae”, “S. Ca­tharinae in catinari “, per giungere al­l’attuale denominazione di Santa Ca­terina della Rota che appare nel­l’itinerario del Vasi del 1791. La spie­gazione dell’Huelsen, che fa derivare il nome da qualche pia benefattrice appartenente ad un’illustre famiglia, non chiarisce il motivo di tanti storpiamenti. Non convince neanche l’Armellini, che fece derivare il nome dal vocabolo “de catenariis”, riferendosi ad una re­lazione di visite della chiesa del 1630, in cui si dice che di fronte sorgeva “ l’Hospedale di quei che si riscatta­vano in barberia da mani d’infedeli “, i quali in segno di ringraziamento per l’avvenuta liberazione offrivano alla chiesa, come ex voto, le catene a ricor­do della loro prigionia. Il Cecchelli, invece, riteneva si trattasse di catene di veri malfattori, poiché già esisteva il “ Catener “, ossia il carcere, menzio­nato nel Catalogo di Cencio Camerario. Ma anteriormente al XV sec. il palaz­zo Savelli che sorgeva nella zona, co­nosciuto tristemente come Corte Savella, non era stato ancora adibito a luogo di pena. L’enigma esi­ste ancora. La chiesa nel 1630 apparte­neva al Capitolo Vaticano che la diede poi alla Compagnia di S. Antonio da Padova. Nel 1932 fu affidata da Pio XI al­l’Arciconfraternita di S. Anna dei Para­frenieri. L’avv. Michele Gigli vi fondò la Compagnia delle Sorelle della Carità per l’assistenza dei cronici a domicilio.

La costruzione attuale è databile alla fine del Cinquecento: fu restaurata tra il 1580 ed il 1591 pro­babilmente su progetto di Ottaviano Mascherino conservato nell’Acca­demia di S. Luca. Nel disegno firmato compaiono la pianta della chiesa e le case annesse sulla sinistra. L’origina­ria porta laterale, ben­ché murata è ancora visibile sulla via in Caterina. La facciata per tutto il Seicento aveva ancora forma medioevale e l’interno presentava il tetto con le strutture in vista. La chiesa venne nuovamente restaurata verso il 1730, poi nel 1857. La facciata attuale è il risultato dei restauri operati nel XVIII sec. Presenta uno sviluppo ver­ticale ed è racchiusa da doppie lesene laterali corinzie, sormontate da una trabeazione. La parte centrale, più alta, è raccordata alle lesene da due volute. Il coronamento è costituito dal tim­pano. Il portale, con una cornice con­tinua, termina con un timpano curvo interrotto al centro. Lo sovrasta una lunga finestra, racchiusa da una mo­vimentata cornice con superiormente lo stemma del Capitolo Vaticano. L’interno, anch’esso settecentesco, è a una sola navata. Ha come elemento parti­colare il coro triabsidato, raro nel Cin­quecento e riconducibile perciò alla originaria forma medioevale della chie­sa. Il soffitto a cassettoni policromi presenta gli stemmi di Sisto V e quelli aggiunti del Capitolo Vaticano: provie­ne dalla demolita chiesa di S. France­sco d’Assisi a ponte Sisto. A destra dell’entrata si vede un grande affresco incorniciato di Girolamo Muziano (1528-92), raffigu­rante la “ Fuga ed il riposo in Egitto “, una pregevole rap­presentazione di paesaggio notturno.

Segue, nel secondo archivolto, un crocifisso ligneo del Cinquecento. Subito dopo, su di un altare, entro una teca chiusa da un vetro, sono le statue vestite di S. Anna e della Madonna, provenienti dal Mo­nastero della SS. Concezione in Cam­po Marzio. Sull’altare maggiore è il quadro di Santa Caterina della Rota circondata da angeli, opera manieristi­ca di Jacopo Zucchi. Sempre nella tribuna dell’altare maggiore, a sini­stra, è una splendida custodia in marmo rina­scimentale per l’Olio Santo. Sull’altare del terzo archivolto a sinistra (Cappella del Mon­te) è un affresco raffigurante la “Ma­donna con le Sante Caterina ed Apollo­nia” di scuola tosco-romana o del Vasari. Al di sopra è una piccola Annunciazione. L’archivolto successivo accoglie la “Deca­pitazione di Santa Valeria”, di G. A. Gal­li detto lo Spadarino. Nel quadro è rappresentato con cruda realtà il miracolo per il quale la martire Valeria, decapitata, avrebbe portato la propria testa a S. Marziale, primo vescovo di Limoges, mentre ce­lebrava la messa. A sinistra dell’entra­ta, su di un pilastro, è la lapide del 1782 che ricorda il celebre incisore Giuseppe Vasi, qui sepolto. Nella chiesa doveva trovarsi anche una statua di S. Cateri­na della Rota. Infatti il Vasi, nell’Iti­nerario del 1791, riporta che nell’inter­no “si vede una statua antica, a cui fu aggiunta una palma ed una mezza ruota per farle rappresentare S. Cate­rina" ; inoltre, G. Battista Cipria­ni, nella “Descrizione di Roma” del 1838, parla di una “ statua antica ri­dotta raffigurante S. Caterina d’Ales­sandria".


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