All’Ara
Pacis per conoscere l’eredità di Augusto
L’arte del comando

Durante il suo lungo principato Augusto, con innata
abilità, seppe convogliare il consenso intorno alla sua persona: costituirà un
modello nei secoli successivi, fino ai regimi assolutistici del XX secolo.
All’interno delle celebrazioni per il bimillenario della morte di Augusto, Roma
Capitale, Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica –
Sovrintendenza capitolina ai Beni culturali ha promosso la mostra “L’arte del
comando. L’eredità di Augusto”, al Museo dell’Ara Pacis fino al 7
settembre 2014, per approfondire le principali politiche culturali e di
propaganda messe in atto da Augusto e replicate nel tempo per il loro carattere
esemplare. Organizzazione e servizi museali sono di Zètema Progetto Cultura.
La propaganda augustea si basava sulla discendenza della gens Julia dell’eroe
troiano Enea, il figlio di Anchise. Il principe, per far apparire ai
contemporanei la sua ascesa al potere non solo legittima ma predestinata,
commissionò una serie di opere che sistematizzavano le origini troiane di Roma e
quelle della sua famiglia: l’Eneide, l’arredo simbolico del suo Foro e l’Ara
Pacis. Augusto seppe scegliere i suoi collaboratori e con loro adattò al suo
regime il mito dell’età dell’oro, quando il tempo - ricominciando il suo ciclo -
riporta tra gli uomini austerità di costumi, prosperità e pace universale. La
mostra - a cura di Claudio Parisi Presicce e Orietta Rossini - è divisa in 12
sezioni tematiche e storiche, che ricostruiscono in che modo imperatori come
Carlo Magno, Federico II, Carlo V o Napoleone, abbiano reinterpretato l’arte del
comando di Augusto. Si parte da Cesare Ottaviano Augusto e l’elaborazione del
mito, per passare alla sua interpretazione cristiana. La terza sezione è
dedicata a Virgilio e la Sibilla. Con la leggenda dell’Ara Coeli si esplora la
popolarità di Augusto tra Medioevo e Rinascimento. La quinta sezione è dedicata
all’importanza dell’eredità romana per la formazione dell’idea di Impero nel
corso dell’alto e del basso Medioevo. La sesta sezione rievoca tre interpreti
dell’idea di Impero nel XIV secolo italiano: Dante, Petrarca e Cola Di Rienzo.
Nel Rinascimento, invece, ci furono due fasi nella recezione della figura di
Augusto: nella prima, umanistica e repubblicana, al principe viene imputata la
fine delle libertà repubblicane; nella seconda fase, in coincidenza con il
ritorno delle signorie locali, Augusto torna a essere modello di liberalità e di
stile di governo. L’ottava sezione esamina un importante fenomeno durato solo
pochi decenni: il ritorno di un signore del mondo, Carlo V d’Asburgo. Ci sono
poi quattro monarchi che riattualizzano i miti della propaganda augustea: Carlo
IX di Francia, Elisabetta I d’Inghilterra, Rodolfo II d’Asburgo, Ivan IV di
Russia detto il Terribile. Un attimo di riflessione è dato dall’incerto rifugio
nei valori e nelle idee dell’Arcadia. Si arriva quindi a Napoleone, l’ultimo
grande imperatore, che non si presenta come un signore universale ma come
l’espressione dell’espansionismo di una nazione. Anche la retorica napoleonica,
però, finisce per riprendere gli stilemi dell’Impero Romano. L’ultima sezione
affronta la ripresa mussoliniana della retorica romana e l’identificazione del
“dux” con la figura di Augusto. E’ rievocata, attraverso foto e reperti, la
visita di Hitler e Mussolini al Museo delle Terme e la loro sosta di fronte ai
frammenti non ancora ricostruiti dell’Ara Pacis. In mostra centinaia di piccoli
frammenti dell’altare che nel 1937-1938, durante la ricostruzione dell’Ara Pacis
in vista del Bimillenario della nascita di Augusto non fu possibile reinserire
nel monumento.
di
Alessandro Venditti
4 aprile 2014
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