Plinio
il Vecchio, nella sua "Storia Naturale", attribuiva l’invenzione del
vetro a dei mercanti Fenici, che lo avrebbero ottenuto in modo
fortuito, mentre accendevano dei fuochi in Siria.
Le
guerre di conquista romane degli ultimi due secoli della repubblica
favorirono lo straordinario sviluppo delle rotte commerciali in
tutto il bacino del Mediterraneo e il trasferimento a Roma, più o
meno forzato, di artigiani altamente specializzati depositari di
raffinatissime tecniche di produzione e di una spiccata sensibilità
artistica. Le vittorie di Pompeo sull’Oriente, celebrate nel trionfo
del 61 a.C. e quella di Ottaviano sull’Egitto, culminata nella
battaglia di Azio del 31 a.C., aprirono definitivamente la via al
controllo da parte romana del mondo ellenistico, all’acquisizione di
un patrimonio inesauribile di competenze e all’adozione di un nuovo
atteggiamento di apertura nei confronti di un diverso stile di vita
ispirato a quello delle corti orientali. In questo contesto si
sviluppò una florida produzione di suppellettili di vetro, la cui
raffinatezza rivaleggia con la preziosità dell’argenteria.
Nel
Satyricon di Petronio, Trimalchione, ricco ma rozzo liberto, faceva
un elogio del vetro. Lo amava perché "non ha nessun sapore. Se solo
non fosse fragile, lo preferirei anche all’oro", diceva.
"Vetri
a Roma" è la mostra che la Soprintendenza speciale per i Beni
archeologici di Roma dedica all’arte del vetro, prevalentemente
incentrata sulla produzione di età romana. Dal 16 febbraio al 16
settembre alla Curia Iulia, nel Foro romano, saranno esposti circa
300 pezzi tra vasellame prezioso, gioielli e mosaici, che raccontano
il periodo di massimo fulgore della lavorazione del vetro nel mondo
romano, a partire dal II sec. a.C..
L’esposizione, seguendo un percorso cronologico, si apre con un
nucleo di balsamari provenienti dal bacino del mediterraneo e
databili tra il V e il IV sec. a.C., per passare agli esemplari di
età ellenistica, come il prezioso piatto in vetro mosaico millefiori
con inserzioni a foglia d’oro proveniente da Canosa di Puglia o lo
splendido piatto in vetro dorato con scena di caccia da Tresilico,
in Calabria. Il nucleo più consistente della mostra illustra la
produzione di età imperiale, caratterizzata da beni di lusso
destinati all’élite della società, come lo splendido piatto blu
intagliato e inciso con eroti bacchici proveniente da Albenga.
Continua, poi, con la produzione di preziosi manufatti monocromi dai
colori sgargianti: blu, verde, viola, o anche nero negli oggetti che
imitano la rara ossidiana; dei vasi a mosaico che si arricchiscono
di nuove forme e di nuove combinazioni di disegni e di colori, come
la pisside in vetro mosaico "a bande d’oro" da Pompei e la coppa in
vetro mosaico "millefiori" con motivo a stelle da Adria.
Nel I
sec. d. C., con l’invenzione della soffiatura, si assiste alla
nascita di una vera e propria industria del vetro e, di conseguenza,
all’abbattimento dei prezzi e alla diffusione degli oggetti in vetro
presso tutte le classi sociali. Servizi da mensa, contenitori per
profumi e medicamenti, vassoi, attingitoi, grandi coppe
"portafrutta" come quelle che si vedono negli affreschi pompeiani,
vasi per conserve, come quelli consigliati da Columella, anfore per
il vino, come quelle che Marziale dice adatte all’invecchiamento del
Falerno, olle per gli usi più disparati, persino funerari.
Nascono
nuove forme e nuove tecniche decorative e quindi compaiono vetri
soffiati decorati da filamenti, granuli e frammenti di vetro
applicati come l’anforetta blu a filamenti da Treviri e l’anfora
decorata "a spruzzo" da Pompei e, ancora, la bella bottiglia con una
decorazione "a gabbia" da Padova.
La
versatilità del vetro consente la realizzazione di gemme e gioielli,
come il medaglione in foglia d’oro incisa e dipinta tra due strati
di vetro con ritratto maschile, conservata al museo di Arezzo, e il
cammeo in vetro molato con raffigurazione di Arpocrate.
Il
vetro rientrava anche nella decorazione parietale e pavimentale
sostituendosi al marmo: ne è un esempio l’opus sectile di
lastre di vetro dalla villa di Lucio Vero sulla via Cassia, o il
tondo che rappresenta un fondale marino con due pesci e un delfino,
proveniente dal triclinium della domus del Chirurgo di
Rimini.
Chiudono la mostra le insegne imperiali di Massenzio trovate lungo
le pendici del Palatino nel 2005. Le opalescenti sfere di vetro dai
riflessi cangianti fuse sulla sommità degli scettri erano i segni
del potere universale di Roma, e forniscono l’ulteriore
testimonianza della preziosità e duttilità del vetro, la fragile
bellezza citata da Plinio nella Storia Naturale.