Da
qualche anno sul Gianicolo, tra i monumenti agli eroi del
Risorgimento, c’è una nuova, importante memoria: la statua di
Righetto, copia in bronzo di Pasquale Nava del marmo eseguito nel
1851 da Giovanni Strazza e conservato nel palazzo Litta di Milano.
E’ un omaggio ai tanti ragazzini che sacrificarono la loro vita
nella difesa della Repubblica Romana del 1849 ed è raffigurato a
torso nudo, con un paio di calzoncini laceri, il braccio sinistro
alzato dopo aver strappato la miccia a una bomba. Tra le sue gambe è
una vispa cagnolina, sua compagna di avventura e di sventura.
Di
Righetto si sa molto poco. Aveva dodici anni, era biondo e
mingherlino ed era rimasto orfano. I bottegai di Trastevere gli
affidavano delle piccole commissioni, facendogli guadagnare qualcosa
per sopravvivere. Sembra che una volta avesse perfino trovato lavoro
da un macellaio. Ma quando questi gli diede uno schiaffone per non
si sa quale mancanza, Righetto gli tirò lo schifo e scappò via.
Arrivarono i giorni dell’assedio di Oudinot a Roma. I cannoni
battevano in breccia le mura gianicolensi e le bombe cadevano nel
cuore della città, portando morte e distruzione. Il comportamento
dei romani, però, era di una compostezza e di un coraggio
incredibili. Scriveva Garibaldi ad Anita in una lettera del 21
giugno: "qui le donne e i ragazzi corrono addietro alle palle e
bombe gareggiandone il possesso".
"L'intervallo medio, tra la caduta e l'esplosione, era di 10 a 12
minuti secondi", spiegava Gustav von
Hoffstetter. "Non saprei a quale dei due motivi attribuire, se
all'audacia o all'ignoranza del pericolo, il precipitarsi che faceva
la nostra gente sur una bomba, per soffocarla, allorché essa ardeva
alcuni secondi più del solito. Molte bombe ci furono in tal modo
portate, aventi la spoletta o ricacciata dentro, o strappata, o
tagliata via. Per ognuna si pagava uno scudo". Naturalmente
Righetto era tra i più svelti a gettarsi sulle bombe per soffocarle
con uno straccio bagnato. Un giorno, mentre stava con alcuni suoi
compagni vicino a piazza Mastai, un ordigno cadde proprio vicino a
lui. Accorse immediatamente per spegnerlo, ma quello esplose in un
inferno di fumo e schegge, dilaniando anche quella che era ormai
tutta la sua famiglia, la fedele cagnetta Sgrullarella. Il ragazzo
fu raccolto in condizioni disperate. Era impossibile portarlo al
Santo Spirito: troppe le bombe che piovevano sulla strada per
l’ospedale. Il medico Romano Feliciani gli prestò le prime cure,
quindi lo fece condurre prima nella sua abitazione di via Sistina e
poi in via Belsiana, presso una vecchietta caritatevole, una certa
Marta Ranieri. Il ragazzo, però, era orrendamente mutilato e spirò
dopo alcune settimane tra grandi sofferenze.