Ricorda una chiesina distrutta dagli sventramenti di fine ‘800

A piazza della Suburra il monumento alla barbarie

Le scalette che da via Cavour portano alla fermata della metropolitana scendono in piazza della Suburra, il cui nome ricorda il famigerato quartiere dell’antica Roma tra i fori imperiali e porta Esquilina, popolato da ladri, prostitute e lenoni. Già la denominazione parlava chiaro: Subura deriva da "sub urbs", "sotto la città": i bassifondi, di nome e di fatto.

Sulla destra della stazione della metropolitana, il retro di una casa umbertina la cui facciata dà su via Cavour reca ad angolo una curiosa decorazione, definita dal Blasi nel suo stradario romano "monumentino". In effetti si tratta di sei frammenti marmorei sovrapposti della larghezza di 75 centimetri ognuno, murati verticalmente l’uno sopra l’altro. Si tratta dei miseri resti di una chiesina o edicola che si trovava presso la cordonata di San Pietro in Vincoli, dedicata alla Santissima Trinità e conosciuta come S. Salvatore de Tribus Imaginibus, con riferimento – secondo il Marangoni - a un rilievo marmoreo con tre figure di Cristo sedute l’una accanto all’altra e identiche nei volti e negli abiti – simbolo della Trinità - che si doveva trovare sulla porta. La chiesina aveva anche altri nomi: San Salvatore alla Suburra e San Salvatore agli Olmi, in riferimento alle piante che crescevano folte nella zona e sono ancora ricordate nella toponomastica dalla vicina via del Boschetto. E’ già citata nel Catalogo di Cencio Camerario del 1192. Secondo quanto si apprende da una bolla di Innocenzo IV del 1244, nel secolo XIII era sottoposta a Santa Maria Maggiore. Al tempo di Alessandro VI (1492-1503) la chiesetta fu restaurata da un certo Stefano Coppo, delegato apostolico pontificio, come ricordava una scritta sull’architrave. Nel 1582 Gregorio XIII la unì a Santi Sergio e Bacco de Subura. Nel 1650 fu profanata e quindi venduta per 550 scudi ai frati della vicina chiesa di San Francesco di Paola, che la trasformarono in un oratorio dedicato a San Francesco, detto, per le ridotte dimensioni, San Franceschino. Nella Descrizione delle pitture, sculture e architetture esposte al pubblico in Roma di Filippo Titi del 1763 la troviamo però ancora citata come la chiesa di s. Salvatore alle tre immagini.

Dopo l’unità d’Italia, anche quest’area fu interessata da pesanti sventramenti. Per la realizzazione di via Cavour, intorno al 1884, furono demoliti alcuni edifici sacri di antica origine, considerati di scarso valore artistico. Tra questi, la chiesetta della Santissima Trinità. Si può immaginare che il costruttore del palazzo tardo ottocentesco abbia rinvenuto tra i calcinacci dell’edificio alcune lapidi e dei frammenti marmorei ancora in buono stato e che li abbia fatti murare in quell’angolo, erigendo inconsapevolmente un monumento alla barbarie e all’ignoranza che hanno fatto crollare sotto i colpi del piccone tante memorie storiche e artistiche di Roma, senza nemmeno lasciarne un’idonea documentazione.

Partendo dall’alto, il primo frammento è una cornice sporgente, cui segue una targa con l’iscrizione ALEXANDRO VI PONT MAX retta da due puttini, ognuno dei quali tiene in mano un piccolo stemma con una coppa. Quindi c’è la scritta SUBURA sormontata da una corona. Nel quarto frammento, molto abraso, si legge OB MAIESTATEM e si vede uno scudo con sovrapposto un cappello ecclesiastico. Al di sotto, la più interessante delle epigrafi: AEDICULAM SALVATORIS TRIUM IMAGINUM SUBURANI AMBITUS REG MONTENSIUM NEMEMORIA INTERIRET STEPHANUS COPPUS GEMINIANENSIS S IMPEN IN CULCTIOREM FORM REDEGIT AEDITUOQ ANNUOS SUMPTUS PERPETUO CONSECRAVIT, nella quale Stefano Coppo di San Geminiano ricorda di aver ridotto a sue spese in miglior forma l’edicola del Salvatore delle Tre Immagini alla Suburra nel rione Monti, affinché non se ne perdesse il ricordo, e di aver stabilito per sempre il compenso annuo al custode .

Ci sono quindi una lapide divisa in due riquadri senza traccia di iscrizione e un ovale circondato da un nastro svolazzante con al centro una coppa da cui fuoriesce una pianta d’acanto, tra due stelle: lo stemma di Stefano Coppo.

Dell’argomento si parlerà a Nuova Spazio Radio (88.100 MHz), a "Questa è Roma", il programma ideato e condotto da Maria Pia Partisani, in studio con Livia Ventimiglia il martedì dalle 14 alle 15 e in replica il sabato dalle 10 alle 11.

di Cinzia Dal Maso

30 marzo 2010

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