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Con la sua arte fu il principale interprete dell’epopea risorgimentale

Il pittore - soldato Gerolamo Induno

Gerolamo Induno, fratello minore di Domenico, era nato a Milano il 13 dicembre 1825. Aveva frequentato l’Accademia di Brera dove, dal 1839 al 1846, era stato allievo di Luigi Sabatelli.

Fin dal 1845 aveva esposto i suoi primi dipinti alla mostra braidense: studi dal vero, alcuni ritratti e una Scena dai Promessi Sposi.

Dopo aver partecipato ai moti antiaustriaci del 1848, si era rifugiato con il fratello ad Astano, in Svizzera, quindi si trasferì a Firenze, dove si arruolò come volontario sotto il comando del generale Giacomo Medici, con il quale, nel 1849, partecipò alla difesa di Roma assediata dai francesi del generale Oudinot, eseguendo molti schizzi e scene riprese dal vero.

Definito da Garibaldi uno dei più "intrepidi e valorosi combattenti di Roma", Gerolamo Induno fu impegnato nell’occupazione del Vascello. Il 22 giugno, per ordine di Garibaldi, due compagnie del generale Medici tentarono da villa Spada di impadronirsi della casa Barberini, all’interno di villa Sciarra, nel luogo oggi intitolato al volontario belga Adolfo Leduq. I patrioti riuscirono a penetrare nella casa, ma dovettero ritirarsi dopo una furiosa mischia nel cortile e nelle stanze. Durante quell’operazione, in cui perse la vita Giacomo Venezian, Gerolamo Induno fu gravemente ferito da 27 colpi di baionetta e cadde da una terrazza. Due commilitoni lo raccolsero in fin di vita ed Enrico Guastalla lo portò sulle sue braccia. Fu curato all’ospedale dei Fatebenefratelli, diretto dalla giornalista americana Margaret Fuller Ossoli. Una volta guarito, fu nominato sottotenente e rimase qualche tempo a Roma. Grazie alla protezione del conte Giulio Litta, riuscì a tornare a Milano e negli anni che seguirono espose a Brera alcune opere di tema risorgimentale che ricordavano gli eventi che lo avevano visto protagonista a Roma, come "La difesa del Vascello", "Porta San Pancrazio dopo l’assedio del 1849" o "Trasteverina colpita da una bomba".

Dal 1854 al 1855 aveva partecipato alla campagna di Crimea, militando nel corpo dei bersaglieri di Alessandro La Marmora in qualità di pittore-soldato ed eseguendo disegni, studi e resoconti per immagini. Al ritorno in patria quegli schizzi diventarono quadri pieni di sentimenti patriottici, molto apprezzati dalla critica. Tra questi, "La battaglia di Cernaia", che gli era stata commissionata dallo stesso Vittorio Emanuele II.

Nel 1855 ottenne un grande successo all’Esposizione Universale di Parigi. In seguito espose alcuni dipinti di vario tipo, dalla veduta al ritratto, sia a Milano che a Firenze.

Nel 1859 si arruolò come ufficiale garibaldino dei Cacciatori delle Alpi, continuando a dipingere e a prediligere i temi patriottici e confermandosi come il principale interprete dell’epopea risorgimentale. Alle rappresentazioni di tono aulico, come "La battaglia di Magenta", alternò soggetti più intimi o di genere: "Un grande sacrificio" (l’addio della madre del garibaldino), "La partenza del coscritto", "Triste presentimento". Famoso fu "La battaglia della Cernaia", acquistato da Vittorio Emanuele II. Molto apprezzati anche il "Legionario garibaldino alla difesa di Roma" o "Episodio dell’assedio di Roma del 1849", forse realizzato alcuni anni dopo.

Il 5 maggio del 1860 Garibaldi salpava da Quarto per la Sicilia. Anche se Induno, dopo tante battaglie, non era fisicamente tra i Mille, partecipò idealmente all’impresa traducendo in pittura le cronache dei giornali e i racconti dei reduci. In un’atmosfera velata dal rimpianto, anche l’arte storica o celebrativa si apriva al sentimento, come ne "L’imbarco dei Mille a Quarto", dove l’attenzione si sofferma sugli episodi del garibaldino che bacia il figlio o della moglie che piange per la partenza del marito.

Negli anni Sessanta dell’Ottocento era ancora impegnato in dipinti celebrativi, da "L’ingresso di Vittorio Emanuele II a Venezia" a "La morte di Enrico Cairoli a Villa Glori", ma prese parte anche a grandi imprese decorative, come le Allegorie di Firenze e di Roma e nella rinnovata stazione Ferroviaria di Milano o il sipario del teatro di Gallarate. Intanto la sua arte subiva un’evoluzione verso una pittura dalla pennellata quasi virtuosistica e con soggetti di gusto neosettecentesco, esemplificata da "La partita a scacchi" e "Un amatore di antichità".

Dopo una lunga malattia, morì a Milano il 19 dicembre del 1890.

di Cinzia Dal Maso

08 giugno 2010

 

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