Agnese
è tra le sante più care al popolo romano, che ne ammira la purezza,
paragonandola alla candida agnellina di cui porta il nome. Almeno dal 336 la
comunità cristiana cittadina si recava ogni anno, il 21 gennaio, sulla via
Nomentana, per celebrarne la nascita in cielo. San Gregorio Magno (590-604)
disse in un’omelia che quella ricorrenza era così cara ai fedeli che chi non
poteva parteciparvi provava un vero dolore.
Agnese
nacque a Roma intorno alla fine del III secolo in una famiglia forse di liberti.
I suoi genitori la iniziarono a quella fede cristiana per la quale sopportò il
martirio probabilmente all’inizio del IV secolo. Praticamente nulla si sa della
sua vita. Per quanto riguarda l’estremo sacrificio, in mancanza di atti genuini,
ci dobbiamo rifare alla tradizione raccolta nella seconda metà del IV secolo da
Damaso, Ambrogio e Prudenzio. Dalla splendida epigrafe fatta scoprire dal primo
per la tomba della santa, sappiamo che la fanciulla "offrì spontaneamente alle
fiamme il suo nobile corpo" e che "sulle nude membra lasciò cadere la chioma
disciolta perché volto mortale non vedesse il tempio del Signore".
Il
Trattato "Sulle vergini" di Sant’Ambrogio dice che avrebbe subito il martirio a
dodici anni. "Trascinata a viva forza all’altare degli dei e posta fra i carboni
accesi, tende le mani a Cristo, e sugli stessi altari sacrileghi innalza il
trofeo del Signore vittorioso". "La tenera età – aggiunge il vescovo - diede una
perfetta lezione di fortezza. Una sposa novella non andrebbe si rapida alle
nozze come questa vergine andò al luogo del supplizio: gioiosa, agile, con il
capo adorno non di corone, ma del Cristo, non di fiori, ma di nobili virtù".
"Stette ferma, pregò, chinò la testa. Avresti potuto vedere il carnefice
trepidare, come se il condannato fosse lui, tremare la destra del boia,
impallidire il volto di chi temeva il pericolo altrui, mentre la fanciulla non
temeva il proprio. Avete dunque in una sola vittima un doppio martirio, di
castità e di fede. Rimase vergine e conseguì la palma del martirio". Sempre
Ambrogio in un inno per la festa della santa insiste sul suo pudore: "si coprì
tutta con la veste, perché nessuno vedesse il suo corpo nudo. In morte viveva la
pudicizia: si coprì con la mano il volto, piegò il ginocchio a terra, cadde e
vereconda fu anche nel cadere". Il poeta cristiano spagnolo Prudenzio, nel 405,
aggiunge molti particolari al martirio, appresi dai custodi della tomba di
Agnese o dalla sua passio latina. Si sofferma sulla condanna al pubblico
lupanare, dove serbò la sua purezza, per poi porgere con gioia il capo al
carnefice, che lo troncò di un sol colpo.
Le
analisi del cranio hanno confermato la morte della fanciulla all’età di circa 12
anni. Discusso è il tipo di supplizio. Damaso, che cita il fuoco, farebbe
pensare alla pena delle fiaccole, con cui si ustionava il corpo prima del colpo
di grazia. Da escludere il rogo, visto che le ossa della fanciulla non mostrano
tracce di combustione. Prudenzio parla di decapitazione, mentre Ambrogio lascia
spazio anche allo sgozzamento.
Il corpo
della piccola martire fu sepolto nella catacomba della Nomentana che poi avrebbe
preso il suo nome e sulla quale fu eretta una piccola basilica, accanto a
quella, grandiosa e a forma di circo, fatta costruire a spese di Costantina o
Costanza, figlia di Costantino, morta in Bitinia nel 354.