Nell’insula ai piedi dell’Aracoeli abitavano almeno 380 persone

Un alveare umano della Roma imperiale
di Cinzia Dal Maso

L’emergenza abitativa non è certo monopolio dei nostri giorni: costituiva un serio problema anche nell’antica Roma, soprattutto a causa di una vera e propria esplosione demografica che interessò la città tra la fine della repubblica e i primi due secoli dell’età imperiale. La fame di case, sentita soprattutto negli strati più umili della società, richiese soluzioni che cercassero di sfruttare nel modo più intensivo possibile lo spazio urbano. Si costruirono caseggiati d’affitto a più piani – le cosiddette insulae, come le definì Cicerone - in cui vivevano in condizioni subumane centinaia di persone. Spazi angusti, illuminazione insufficiente, scarsità di servizi, presenza di soppalchi rendevano la vita piuttosto dura. Ci si riscaldava e si preparavano i cibi con l’aiuto di bracieri, che non solo riempivano gli ambienti di fumo e fuliggine, ma rendevano quanto mai frequenti disastrosi incendi. Proprio del pericolo di crolli e incendi scriveva Giovenale, mentre Marziale si lamentava che, per raggiungere la propria abitazione, doveva salire 200 gradini.

Se da Ostia provengono numerosi esempi di abitazioni di questo tipo, a Roma secoli di trasformazioni urbanistiche non ne hanno quasi lasciato traccia. Ecco perché assume un’importanza particolare l’insula del II secolo d. C. ai piedi della scalinata dell’Aracoeli, appoggiata alla roccia del Campidoglio, regolarizzata da un muro in opera reticolata: un edificio interamente in laterizio di pianterreno, mezzanino e almeno quattro piani, ma forse anche di più, in cui si è calcolato che dovessero abitare circa 380 persone.

Il pianterreno si trovava nove metri più in basso del piano stradale attuale ed era occupato da tabernae affacciate su un cortile con portico a pilastri. Qui erano i negozi, collegati da scale in legno con il mezzanino, dove erano le abitazioni dei bottegai. Al momento degli scavi furono trovati, sulle pareti delle tabernae, resti dell’originaria decorazione con disegni geometrici su fondo bianco databili tra la seconda metà del II secolo e l’inizio del III.

Al secondo piano si accedeva, invece, da una scalinata esterna posta all’estremità settentrionale del caseggiato. Qui iniziavano gli appartamenti di affitto, costituiti da un grande numero di stanze che prendevano aria e luce da finestre rettangolari. Prima si incontravano una piccola stanza e un lungo corridoio, che portava a sei vani comunicanti, tutti di forma irregolare, in uno dei quali si conserva un piccolo tratto di intonaco decorato da un motivo a stella in rosso. Al terzo piano si riconoscono tre gruppi di tre stanze ciascuno: nove ambienti, ognuno dei quali, diviso da tramezzi oggi perduti, doveva costituire un appartamento per un nucleo familiare. Qui è parzialmente conservato il pavimento in mattoni a spina di pesce. Man mano che si procedeva in altezza, gli ambienti si facevano più piccoli. Del quarto piano non restano che alcuni muri e tracce del corridoio sul lato orientale del caseggiato. In tutto il complesso, non è stata trovata traccia di bagni o di cucine. Il portico a pilastri che precedeva gli ingressi delle tabernae fu aggiunto intorno alla fine del III secolo e venne a nascondere il balcone situato al secondo piano. In epoca medioevale, tra i ruderi del caseggiato fu costruita – probabilmente dalla famiglia Boccabella - la chiesa di San Biagio de Mercatello, che prendeva il nome dal mercato che si teneva nella piazza dell’Aracoeli fino al 1477, quando fu trasferito a piazza Navona. Nel 1658 San Biagio passò alla Confraternita della SS. Spina della Corona di Gesù Cristo, che la ricostruì quasi completamente, dedicandola a Santa Rita delle Vergini. Purtroppo nel 1928, durante i lavori per aprire quella che allora si chiamava via del Mare, anche Santa Rita venne demolita, facendo ritornare alla luce l’edificio di epoca imperiale romana e lasciando in piedi due piccole memorie di San Biagio de Mercatello: il campaniletto romanico dell’XI secolo con due bifore e l’arcosolio affrescato con la quattrocentesca "Deposizione di Cristo tra la Madonna e S. Giovanni". Nel sottarco sono invece dipinti l’Agnello mistico e i Simboli dei quattro Evangelisti. Tali pitture, assai danneggiate e alterate, non sono citate dalle fonti.

La chiesa di Santa Rita, smontata e messa in deposito, venne poi ricostruita nel 1940 dove è oggi, in via Montanara, all’incrocio con via del teatro di Marcello.

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