Nel 1932 iniziarono i lavori di
apertura di via Barberini quale arteria di collegamento tra
l’omonima piazza e quella di San Bernardo con un’ampia azione
progettuale di Marcello Piacentini che svolse un ruolo di primo
piano nella trasformazione urbana dell’intera area circostante.
Nell’anno successivo, insieme a Giuseppe Capponi, Piacentini si
dedicò alla costruzione dell’attuale cinema laddove sorgeva il
Garage Centrale. Piacentini aveva indicato già a Roma le svolte
stilistiche del proprio percorso professionale con la realizzazione
di architetture adibite a cinematografo. Nell’attività del primo
periodo si era distinto per la realizzazione del cinema Corso,
successivamente con il cinema Quirinetta. Nel gettare le fondamenta
del cinema – teatro Barberini tornò alla luce un antico mosaico. La
vera difficoltà incontrata da Piacentini fu l’inserimento della
costruzione in una delle due testate terminali dell’allora viale
Regina Elena, mediante la demolizione delle case che circondavano
piazza Barberini.
La struttura del cinema-teatro,
costituita da una gabbia in cemento armato, dimostrava l’abilità del
progettista nel contenere l’edificio in limitate altezze, tali da
non compromettere la visibilità della piazza e del palazzo Barberini.
In quel periodo incominciava a farsi
strada a Roma lo stile razionalista in cui le forme architettoniche
si traducevano in volumi puri. La tipologia della sala, a sviluppo
planimetrico rettangolare e con una capienza di 2000 posti, dimostra
la perfetta adesione allo schema distributivo dei cinema fine anni
Venti. La cabina di proiezione, la più grande d’Europa, era isolata,
spaziosa e adatta all’impianto del cinema sonoro dotato di otto
gruppi-motore. L’ingresso del cinema era sottolineato da un’elegante
pensilina in ferro e vetro. Il vestibolo, circolare, a doppia
altezza, presentava un le pareti in stucco romano color
giallo avana, la zoccolatura in travertino lucido e il pavimento in
grès ceramico a due colori formava un articolato disegno geometrico.
Il mobile cassa e il guardaroba erano in legno di palissandro nero e
acero bigio americano con metalli cromati. Tutte le luci
fluorescenti erano nascoste nel giro delle cornici o nelle
architravature delle porte. Nel momento in cui il visitatore varcava
l’ingresso del cinema aveva la percezione di un’atmosfera da sogno.
Una precisa scelta era rivolta alla cromia delle poltroncine in
legno di palissandro nero, lussuosamente rivestite di stoffa di
crine rosa con lumeggiature in argento. Anche il sipario era in
velluto rosa con disegni in argento, mentre tutti i pilastri che
costeggiavano la platea erano rivestiti in marmo grigio di
Pietrasanta e le parti in legno della balaustra sul piano della
balconata erano in palissandro nero con inserti in legno chiaro di
acero.
Nel cinema Barberini si pose
particolare cura all’apparato acustico per garantire un’alta
rispondenza fonica. La tecnologia riguardò anche il ricambio
dell’aria per mezzo di un potente impianto di ventilazione forzata.
Durante la pausa veniva comandata elettricamente l’apertura del
lucernario centrale. Il boccascena aveva ai lati luci di intensità
graduale nelle tre cornici a rientranza scalare, che davano
l’effetto di una "vasta e morbida gamma di colori e intensità
diverse". Sempre elettricamente lo schermo poteva essere rimosso
da un cilindro verticale e gli altoparlanti erano sollevati da tiri
differenziati.
L’architettura nel suo complesso fu
qualificata dalla stampa dell’epoca con i termini di "modernità
chiara e meditata".
Il cinema Barberini presentava una
decorazione plastica, andata perduta, opera di Alfredo Biagini che
aveva già collaborato con Piacentini nell’apparato decorativo del
cinema Corso a Roma. Tutte le pareti della balconata avevano
bassorilievi in stucco in cui si leggevano semplici scene riferite
alle arti; mentre nel foyer lo scultore aveva compiuto dei raffinati
sovrapporta con soggetto femminile e animali in bronzo argentato.
L’inaugurazione del cinema Barberini
avvenne nella primavera del 1930, la gestione fu affidata a
Alessandro Aboaf, presidente della Società industriale
cinematografica italiana, che portò la struttura a registrare ampi
consensi di pubblico al quale sembrava di entrare in "un’oasi di
riposo e una fonte di energia".
Il cinema ha subìto nel tempo vari
restauri. Nel 1991 lo spazio è stato suddiviso in tre sale a cui si
sono aggiunte altre due.