La scomparsa di Leone XII fece saltare la festa tanto aspettata
Nessun carnevale nel 1829
di Cinzia Dal Maso

Il 10 febbraio del 1829, a soli 69 anni, moriva papa Leone XII, al secolo Annibale della Genga, senza grandi rimpianti da parte dei romani. La sua elezione, nel 1823, sarebbe stata determinata dalla sua salute malferma: sembrava che avesse poco ormai da vivere. Invece campò altri sei anni, seppure tra alti e bassi, ricevendo – a quanto si dice – ben diciassette volte l’estrema unzione. Il popolo affidò a Pasquino il suo impietoso epitaffio: "qui Della Genga giace – per sua e nostra pace".

La dipartita del Pontefice, però, venne a capitare nel momento meno opportuno, proprio a ridosso dei festeggiamenti di Carnevale, che vennero, ovviamente, annullati. La delusione del popolo, che aspettava tutto l’anno per potersi abbandonare agli sfrenati divertimenti delle corse dei berberi, delle varie sfilate, del lancio di confetti, della festa dei moccoletti, si trasformò ben presto in rabbia. Portavoce del malcontento si fece un’altra volta Pasquino, a cui fu trovato affisso un biglietto con questa breve composizione: "Tre dispetti ci festi, o Padre Santo: / accettare il papato, viver tanto, / morir di Carneval per esser pianto".

Naturalmente, tra i più dispiaciuti per i mancati festeggiamenti furono quei commercianti che contavano nel Carnevale per incrementare i loro guadagni con la vendita di maschere di cera e moccoletti, con l’affitto di abiti e balconi, con la preparazione di confetti. Ne raccolse la voce pochi anni più tardi Giuseppe Giochino Belli, in una circostanza analoga. Nel 1837, con la scusa di un’epidemia di peste ma in effetti per timore di sommosse popolari, Gregorio XVI non aveva indetto l’inizio del Carnevale. Il Poeta di Roma colse l’occasione per scrivere un arguto sonetto: "Oggi, ar fine, per ordine papale, Cor pretesto e la scusa del collèra, / ma ppe’ un’antra raggione un po’ ppiù vvera, / er Governo ha inibbito er Carnovale./ Dunque nun c’era d’arifrètte ar male / De chi vvènne le mmaschere de scera?/ Dunque nun c’era da penza’, nnun c’era,

all’abbiti d’affitto, eh Sòr Piviale! / E nnoantri che ffamo li confetti / E ttan’ e ttanti che ccampeno un mese / Còr trafico de lochi e mmoccoletti? / Ah! Cqui, ppe lo scacàrcio de ‘sto Santo / Senza viggijja né llàmpene accese, / Roma, pe’ ddio, s’ha d’aridusce un pianto".

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