Il mito di Giotto è uno di quelli che
non tramonta, anzi con il passare dei secoli cresce e acquista
spessore. La sua arte a cavallo tra Duecento e Trecento seppe
superare gli schemi bizantini, con l’introduzione di un senso dello
spazio, del volume e del colore che anticipò i valori dell’età
dell’Umanesimo.
Come nessuno, il grande pittore
allievo di Cimabue riuscì a interpretare il nuovo sguardo sul mondo
che si andava formando, la moderna capacità del narrare con le
immagini, il ritrovato amore per la natura. Fu in grado di
rinsaldare il legame con quell’antichità classica ancora così viva e
parlante nella Roma in cui lui si era formato.
Alla rivoluzione della pittura, anzi
dello "sguardo", avvenuta intorno all’anno 1300, è dedicato il
recente volume "La O di Giotto", di Serena Romano (Electa, 420
pagine, 226 illustrazioni, 38 euro), di cui è protagonista il
giovane pittore toscano. Il giovane Giotto ne è il protagonista.
L’autrice ne segue i tragitti attraverso i luoghi più colti e alla
moda del tempo: la sfarzosa corte dei papi, la città di Firenze, il
nord-est ricco e studioso tra la corte malatestiana di Rimini e il
Veneto, con la Padova dei magnati e dei finanzieri. Il libro vuole
essere innanzitutto la storia dei due grandi cantieri che furono la
scena della prima parte della sua vita: la basilica di Assisi e
Padova, tra la cappella degli Scrovegni e la basilica del Santo, ma
anche la storia delle sopravvivenze dei monumenti antichi nel
paesaggio della Roma medioevale.
Attorno all’operare del maestro e
delle sue botteghe, prendono vita i personaggi e i luoghi
dell’Italia del voltare del secolo: usando le chiavi dell’indagine
stilistica e di quella tecnica, la letteratura dei programmi
iconografici e dei metodi della bottega del cantiere, spiando gli
indizi nelle opere e nei documenti, si comprende come Giotto abbia
saputo segnare un nuovo contatto tra arte e realtà.
"La O di Giotto che ha dato il nome a
questo libro è la metafora del tragitto di un artista, o
dell'ipotesi critica che lo ha voluto tale",
spiega Serena Romano una delle più
conosciute studiose del Medioevo italiano ed europeo. "Un
tragitto esistenziale e tecnico che comincia nella più avanzata
modernità della propria epoca, torna indietro vertiginosamente
all'Antico, lo attraversa, lo ruba e lo assorbe, e poi compie la
seconda metà del cerchio, e torna al moderno, tramutandolo
radicalmente. Sta tutto, questa è l'ipotesi, nell'arco di una
vicenda umana, e nei soli quindici anni centrali di una vita che
rimane, malgrado tutto, quella di un uomo, pur se colta nei
molteplici contesti storici e sociali che furono la scena del suo
teatro. Fortunato nel vivere in un'Italia di città come Firenze,
come Roma, come Padova, nell'aver toccato gli ambienti più elitari e
ricchi dei suoi anni… la sprezzatura della O di Giotto rappresenta
con la semplicità di un vero grafico il cambiare del mondo
medievale, il suo liberarsi della tradizione guardando all'Antico".
Il volume, che è anche la storia del
dialogo tra l’antico e il moderno, tra la classicità e il gotico,
non è la solita monografia giottesca: usando le chiavi dell'indagine
stilistica e tecnica, la lettura dei programmi iconografici e dei
metodi della bottega e del cantiere, Serena Romano ricrea a tutto
tondo la scena italiana del tempo del Maestro.
Il libro "La O di Giotto" sarà
presentato martedì 2 dicembre alle ore 18.30 nella splendida cornice
della Sala Pietro da Cortona della Galleria Nazionale d'Arte Antica
di Palazzo Barberini, in via delle Quattro Fontane 13, con
interventi dell’autrice, di Caterina Bon Valsassina, Antonio
Paolucci e Claudio Strinati.