A Palazzo Barberini si presenta un volume di Serena Romano edito da Electa

"La O di Giotto", l’arte diventa mito

di Antonio Venditti

Il mito di Giotto è uno di quelli che non tramonta, anzi con il passare dei secoli cresce e acquista spessore. La sua arte a cavallo tra Duecento e Trecento seppe superare gli schemi bizantini, con l’introduzione di un senso dello spazio, del volume e del colore che anticipò i valori dell’età dell’Umanesimo.

Come nessuno, il grande pittore allievo di Cimabue riuscì a interpretare il nuovo sguardo sul mondo che si andava formando, la moderna capacità del narrare con le immagini, il ritrovato amore per la natura. Fu in grado di rinsaldare il legame con quell’antichità classica ancora così viva e parlante nella Roma in cui lui si era formato.

Alla rivoluzione della pittura, anzi dello "sguardo", avvenuta intorno all’anno 1300, è dedicato il recente volume "La O di Giotto", di Serena Romano (Electa, 420 pagine, 226 illustrazioni, 38 euro), di cui è protagonista il giovane pittore toscano. Il giovane Giotto ne è il protagonista. L’autrice ne segue i tragitti attraverso i luoghi più colti e alla moda del tempo: la sfarzosa corte dei papi, la città di Firenze, il nord-est ricco e studioso tra la corte malatestiana di Rimini e il Veneto, con la Padova dei magnati e dei finanzieri. Il libro vuole essere innanzitutto la storia dei due grandi cantieri che furono la scena della prima parte della sua vita: la basilica di Assisi e Padova, tra la cappella degli Scrovegni e la basilica del Santo, ma anche la storia delle sopravvivenze dei monumenti antichi nel paesaggio della Roma medioevale.

Attorno all’operare del maestro e delle sue botteghe, prendono vita i personaggi e i luoghi dell’Italia del voltare del secolo: usando le chiavi dell’indagine stilistica e di quella tecnica, la letteratura dei programmi iconografici e dei metodi della bottega del cantiere, spiando gli indizi nelle opere e nei documenti, si comprende come Giotto abbia saputo segnare un nuovo contatto tra arte e realtà.

"La O di Giotto che ha dato il nome a questo libro è la metafora del tragitto di un artista, o dell'ipotesi critica che lo ha voluto tale", spiega Serena Romano una delle più conosciute studiose del Medioevo italiano ed europeo. "Un tragitto esistenziale e tecnico che comincia nella più avanzata modernità della propria epoca, torna indietro vertiginosamente all'Antico, lo attraversa, lo ruba e lo assorbe, e poi compie la seconda metà del cerchio, e torna al moderno, tramutandolo radicalmente. Sta tutto, questa è l'ipotesi, nell'arco di una vicenda umana, e nei soli quindici anni centrali di una vita che rimane, malgrado tutto, quella di un uomo, pur se colta nei molteplici contesti storici e sociali che furono la scena del suo teatro. Fortunato nel vivere in un'Italia di città come Firenze, come Roma, come Padova, nell'aver toccato gli ambienti più elitari e ricchi dei suoi anni… la sprezzatura della O di Giotto rappresenta con la semplicità di un vero grafico il cambiare del mondo medievale, il suo liberarsi della tradizione guardando all'Antico".

Il volume, che è anche la storia del dialogo tra l’antico e il moderno, tra la classicità e il gotico, non è la solita monografia giottesca: usando le chiavi dell'indagine stilistica e tecnica, la lettura dei programmi iconografici e dei metodi della bottega e del cantiere, Serena Romano ricrea a tutto tondo la scena italiana del tempo del Maestro.

Il libro "La O di Giotto" sarà presentato martedì 2 dicembre alle ore 18.30 nella splendida cornice della Sala Pietro da Cortona della Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini, in via delle Quattro Fontane 13, con interventi dell’autrice, di Caterina Bon Valsassina, Antonio Paolucci e Claudio Strinati.

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