"In tutta la vita i romani parlano
sinceramente una volta sola: nel testamento. L’unica opportunità che hanno per
esprimere i veri pensieri del loro cuore, dal momento che nulla può più
danneggiarli". Con queste parole Luciano di Samosata sintetizzava il valore
simbolico di questo atto giuridico. Si faceva testamento alla presenza di cinque
o sette testimoni, detti testes, che lo rendevano valido grazie alle loro firme.
L’abbigliamento, per l’occasione, era molto elegante. Le disposizioni
testamentarie erano caratterizzate da una lingua solenne e formale: "Caius heres
esto", ovvero "Caio sarà mio erede", oppure "Titus heredem esse iubeo", "dispongo
che Tito sarà mio erede". I testimoni potevano anche rimanere all’oscuro del
contenuto del testamento. Il documento veniva aperto, dopo la morte, davanti ad
un funzionario statale. La tassa di successione era pari al 5 % e si chiamava
vigesima hereditatium. Nel testamento si potevano insultare post mortem
coloro che si erano odiati in vita (c’era chi – addirittura – se la prendeva con
l’Imperatore!) e si rendeva onore ai meritevoli. I nobili, spesso, lasciavano
una somma di denaro ai grandi scrittori del momento. E Plinio il Vecchio lo
sapeva bene, tanto da non mancare mai alle loro letture pubbliche. Il testamento
poteva essere scritto su tavolette di cera, le tabulae cerate che, dopo essere
state sigillate, venivano conservate in un posto sicuro: a casa o addirittura in
un tempio. Tutti i cittadini liberi potevano fare testamento. Anche le donne, se
rilasciate dal potere del padre, del marito o di un parente di sesso maschile.
Gli schiavi, una volta liberati, potevano ricevere un’eredità o, come lascito,
potevano ottenere di essere liberati. Se c’era un testamento a favore di terzi,
gli eredi previsti per legge erano completamente esclusi. Non esisteva, infatti,
la legittima parte e i figli potevano essere diseredati. Ma si poteva impugnare
in tribunale un testamento considerato lesivo e contrario al dovere? Questo
accadeva davvero molto spesso. Pare che circa i due terzi di tutte le cause
civili riguardassero le successioni. C’era anche chi, nell’antica Roma, si era
inventato una fruttuosa occupazione, quella del cacciatore di eredità. "Non
avere figli – annotava Plinio - promette grande reputazione e potere. Fare i
cacciatori di eredità i guadagni più elevati".
L’argomento è stato affrontato nel corso
dell’Intervista possibile di "Questa è Roma!", il programma di Nuova Spazio
Radio, condotto da Maria Pia Partisani, in onda ogni domenica dalle 9.30 alle
10.30.