Molti i segreti ancora nascosti sotto la terra o nelle acque del fiume

Il suolo di Roma, custode di tesori

di Cinzia Dal Maso

 

Dieci anni fa un ambiente delle Terme di Traiano sul Colle Oppio restituiva uno stupefacente affresco del I secolo d. C. con la veduta di una città; poco dopo i lavori per il parcheggio del Gianicolo portavano alla scoperta di una ricca villa. A breve distanza dalla Capitale, a Veio, è riemersa dalla notte dei tempi la più antica tomba dipinta etrusca. Dopo l’eccezionale ritrovamento di un ambiente sul Palatino, con tutta probabilità quel Lupercale da sempre cercato dagli archeologi, viene spontaneo chiedersi quali segreti possa ancora nascondere una città come Roma. Solo per fare un esempio, dove sono le migliaia di statue che adornavano palazzi ed edifici pubblici della Roma antica? Quelle ritrovate, pur in grado di riempire musei e collezioni private, non ne sono che una minima parte. E soprattutto, che fine hanno fatto i tanti originali dell’arte greca, opere di artisti come Mirone, Fidia, Prassitele o Lisippo? Molti sono persi per sempre, fusi quelli in bronzo, trasformati in calce quelli in marmo. Eppure alcuni studiosi del passato erano convinti che sarebbe stato facilissimo raggiungere "il più grande cimitero di originali greci", come lo definiva Hans van Hulsen, "semplicemente" abbattendo il quartiere dell’antico ghetto, dove in epoca imperiale sorgeva un complesso assai esteso di edifici di cui oggi rimane parte del Portico di Ottavia. Qui era sistemato l’immenso bottino di sculture portato dalla Macedonia da Metello. Era possibile ammirare, tra l’altro, il gruppo di statue equestri in bronzo raffiguranti Alessandro Magno e i suoi 25 compagni caduti nella battaglia del Granico, capolavoro di Lisippo. Scriveva il Antonio Nibby nel 1838: "io che sono nato in mezzo a queste rovine e vi ho vissuto quattro lustri, posso attestare che in tutte le cantine ed in ogni casa di questo quartiere, qua e là nei muri, esistono tali indizi che, se un giorno si rovistasse il terreno abbattendo le case come fu fatto al Foro Trajano, si conseguirebbero importantissimi risultati tanto per l’antica topografia di Roma che per le arti".

Attualmente, la distruzione di un intero quartiere storico alla ricerca di tesori non è nemmeno ipotizzabile, anche se qualche saggio di scavo potrebbe riservare sorprese da non sottovalutare.

Dove sarebbe possibile "pescare" alla grande, in tutti i sensi, è il Tevere. Basta pensare che i barbari di Alarico, una volta saccheggiata la città, avevano caricato nella zona della Marmorata le loro navi con statue ed oggetti preziosi, per portarli alla foce e partire alla volta di Cartagine. Numerose imbarcazioni, riempite all’inverosimile, si rovesciarono nel fiume, consegnando al suo fondo limaccioso il loro contenuto.

Ci sarebbe poi quella famosa leggenda secondo la quale il candelabro d’oro a sette bracci del Tempio di Gerusalemme, portato a Roma da Tito, giacerebbe sotto qualche metro d’acqua nei pressi di Ponte Rotto, ricordata dal in un sonetto: "...sto candelabro / per ésse c’è, ma nun lo gode un cane, / perché sta giù ner fiume a fonno a fonno. / Lo vòi sapé, lo voi, dove arimane? / Vicino a Ponte Rotto, e si lo vònno / se tira su per un tozzo de pane". Nel passato ci furono vari tentativi di recuperare il prezioso reperto, nei quali molti dilapidarono piccole fortune.

Ci fu addirittura chi avrebbe voluto fare ricerche sistematiche nel letto del fiume: tra i documenti dell’Archivio di Stato, per esempio, risulta che nel 1819 fu fondata una "Società per la escavazione del Tevere".

Molti i rinvenimenti fortuiti avvenuti alla fine dell’Ottocento, durante la costruzione dei muraglioni, che sono andati a incrementare le collezioni del Museo Nazionale Romano.

Il 20 settembre del 1885, tra la Farnesina e Ponte Garibaldi, emerse dalla mota una bellissima statua in bronzo di Dioniso, forse un originale di epoca tardo ellenistica. Appena un anno dopo, nello stesso tratto del fiume si rinvenne un altro bronzo di simile soggetto. Il giovane dio, con i lunghi capelli ricadenti sulle spalle, era coronato di edera e reggeva il tirso ed un cantaro.

Dai fondali melmosi presso Ponte Rotto fu recuperata una testa marmorea femminile dall’espressione sognante più grande del naturale, copia dell’Afrodite Cnidia di Prassitele, mentre pochi metri più a valle, operazioni di dragaggio restituivano, nel 1890, una delle figure più suggestive che l’antichità ci abbia tramandato: una statuetta marmorea raffigurante un bambino di cinque o sei anni, vestito di una corta tunica e di un mantelletto con cappuccio. Seduto su una roccia, sulla quale appoggia il piede sinistro, dorme con la testolina appoggiata alla mano sinistra, mentre nella destra stringe ancora l’anello di una lampada posata al suolo. Si tratta della copia romana di uno dei tanti soggetti di genere cari all’arte ellenistica. Potrebbe raffigurare uno schiavetto che attende pazientemente il suo padrone impegnato in qualche banchetto, per illuminargli il ritorno a casa. Forse, però, la sua originaria collocazione era su una tomba. In tal caso, il piccolo sarebbe stato vinto dal sonno, dopo un lungo pianto, mentre vegliava sulla tomba del padrone, cui cercava di rischiarare l’eterna notte della morte con la fioca luce della lanterna.

Nel 1891, poco distante dal Ponte Palatino, fu ripescata in numerosi frammenti una scultura in marmo pario di Apollo con il volto pensieroso leggermente piegato a sinistra e verso il basso, derivata da un originale bronzeo del V sec. a.C.

Ancora nel 1951, materiali archeologici furono scoperti dal Genio Civile nell’alveo del Tevere, lungo la via Ostiense.

Altro paradiso per archeologi alla ricerca di sensazioni forti potrebbe essere la Domus Aurea, l’immensa dimora di Nerone che si estendeva dal Palatino all’Esquilino, comprendendo la Velia e il Celio. Se ne conosce solo una parte, circa 150 ambienti. Tra questi, la sala ottagona, dotata di un’ardita volta a padiglione, identificata da molti con la famosa "coenatio rotunda" di cui parla Svetonio. Ma sarà stata proprio questa la meraviglia con cui Nerone stupiva i suoi ospiti, la stanza che ruotava giorno e notte, grazie a un congegno idraulico o basato su cuscinetti a sfera, una sorta di planetario con al centro la figura imperiale? Magari un giorno questo gioiello della tecnica antica riemergerà dalle viscere della terra per farci rimanere a bocca aperta....

WWW.SPECCHIOROMANO.IT - Rivista telematica di Cultura
Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 224 / 2013 del 25 settembre 2013
Copyright 2003-2021 © Specchio Romano  - webmaster Alessandro Venditti

Contatore siti