Nel
1516 Thomas More pubblicava un piccolo volume destinato a diventare
una pietra miliare non solo della letteratura universale, ma anche
del pensiero filosofico moderno. Nel libro veniva descritta una
forma di governo ideale attuata in una società di giustizia dove
regnavano pace e felicità, l’isola di Utopia. Quest’ultimo termine,
coniato da More, derivava dal greco e voleva dire semplicemente "il
luogo che non c’è". Nel tempo ha però allargato il suo significato,
passando a definire non solo un genere letterario, ma anche un tipo
di società e addirittura un ideale irrealizzabile. Nell’ultimo
secolo sta emergendo un senso ancora più profondo della parola. Come
spiega Arrigo Colombo, quello di un "progetto dell’umanità, che
l’umanità ha elaborato ed elabora attraverso movimenti di popolo".
E’ il processo attraverso cui l’umanità "va realizzando la sua
liberazione", grazie al quale "la storia riprende senso, la speranza
dell’umanità si ravviva. Pur tra tante difficoltà".
"L’Utopia" è stato
l’argomento di un Convegno nazionale, cui hanno aderito le
Università di Roma Tre, di Cassino, di Lecce e di Macerata e che si
è avvalso delle relazioni di illustri studiosi. Il Convegno, come ha
sottolineato Luigi Punzo, preside del corso di laurea in Scienze
della Comunicazione dell’Università di Cassino, è stato dedicato a
Francesco Maria Battisti, noto sociologo recentemente scomparso, che
di fatto ne è stato l’organizzatore: "è lui che lo ha voluto – ha
continuato Punzo – che lo ha strutturato, individuando lo schema dei
contributi. Francesco aveva nei confronti dell’utopia un interesse
autentico e l’anima del Convegno sono stati proprio i suoi giovani
allievi".
Molti
e tutti interessanti gli interventi che si sono succeduti nelle due
giornate di lavori. Per citarne solo alcuni, Luigi Punzo si è
soffermato sull’analisi genetica dell’utopia, mentre Maurizio
Esposito ha parlato di "Prospettive eutopiche e progettazione
sociale per le donne detenute".
A Giuseppa Saccaro Del
Buffa si deve una profonda, pessimistica riflessione sulla storia
dell’umanità (e anche del pensiero utopico), che "dietro alla faccia
splendente del successo e della vittoria, svela un’atroce seconda
faccia, quella tragica della sopraffazione, sempre e a ogni costo".
Dove potrà allora l’uomo trovare una via d’uscita? In un genere
d’amore e tenerezza di cui ripullula ogni nuova generazione:
"anzitutto l’amore per l’altra metà, quando si è così fortunati da
incontrarla, così superfortunati da non perderla, poi l’amore per
gli occhi e i sorrisi spontanei e innocenti dei figli, infine
l’amore per tutti gli esseri della natura, se siamo tanto
ultrafortunati da mantenerci sensibili alla loro bellezza e sedotti
dal potere benefico della vitalità".
Milena Gammaitoni ha
analizzato l’esperienza musicale dell’orchestra di Piazza Vittorio,
come la realizzazione di un’utopia per l’integrazione degli
immigrati. "Il gruppo – avverte la studiosa – è considerato nella
letteratura sociologica come un importante concetto mediatore tra
individuo e società; si delinea un microcosmo che condiziona ed è
condizionato dalle strutture del macrocosmo nel quale si trova a
operare e a proporsi".
"L’utopia femminile
nel saintsimonismo" è stata approfondita da Fiorenza Taricone. "Il
messaggio sansimoniano – ha detto - si basava su due concetti
cardine: il miglioramento della condizione della classe più numerosa
e oppressa, quella degli operai e la liberazione femminile dai
pregiudizi, dalla schiavitù soprattutto matrimoniale e dalla morale
che riconosceva solo agli uomini la libertà sessuale".
Manuel Anselmi,
partendo da uno studio empirico di sociologia del potere svolto
sull’ideologia bolivariana del Venezuela, ha proposto di tornare
sulla relazione ideologia/utopia, "cercando di ripensare, sul piano
logico-concettuale, l’opposizione stabilita da Karl Mannheim
nell’omonimo libro". Scopo del contributo di Anselmi è stato
soprattutto provare come "le due dimensioni spesso, nella realtà
delle cose, si sovrappongano e si confondano", esaminando esempi
concreti relativi all’organizzazione sociale, alla leadership e ai
processi formativi ideologico-rivoluzionari del caso di studio
latinoamericano.
Serena Catallo con
"Francis Bacon e la nascita dell’utopia scientifica" ha spiegato
come la "Nuova Atlantide" costituisca "l’ultimo atto, se pur
incompiuto, dello sforzo teoretico" del filosofo, "che si esprime in
ultima analisi nel desiderio di lasciare ai posteri un modello
scientifico di riferimento, sia in chiave operativa che
organizzativa".