Fino
al prossimo 5 novembre la splendida Villa d’Este a Tivoli, gioiello d’arte
rinascimentale, ospita ‘50-‘60 la Scultura in Italia. Opere dalle collezioni
della Galleria Nazionale d’Arie Moderna. La mostra, oltre ad essere la prima
esposizione pubblica specificamente dedicata al rinnovamento della scultura in
Italia in un periodo cruciale, racconta un’appassionante vicenda di
collezionismo di Stato, promosso da Palma Bucarelli, autorevole e bella
direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna dal 1941 al 1974.
Mariastella Margozzi - curatrice
della rassegna e del catalogo — ha organizzato il percorso espositivo partendo
da un gruppo di artisti individuati come i nuovi maestri delle generazioni più
giovani: Pietro Consagra, innanzitutto, il vero pioniere della scultura
contemporanea italiana. Tra i maestri ci sono poi Umberto Mastroianni, Alberto
Burri, Ettore Colla e Lucio Fontana, cui si accoda quella che Mariastella
Margozzi definisce la "generazione di mezzo": Aldo Calò, Lorenzo Guerrini, Berto
Lardera, antesignano del distacco dalla figurazione ma anche dall’espressionismo
astratto, Edgardo Mannucci, Colombo Manuelli, Umberto Milani e Francesco Somaini,
il più informale degli scultori italiani. Negli anni ‘60, strepitosi e
effervescenti anche nell’arte, le giovani generazioni sono accomunate da una
tensione al superamento dell’esperienza informale nel nome di un recupero della
razionalità. In Andrea Cascella, Arnaldo e Giò Pomodoro si realizza il recupero
di un segno che governa l’indomita materia degli anni ‘50.
Le tele sagomate di Bonalumi e
Castellani propongono una superficie dipinta così aggettante da invadere il
campo della scultura e da legittimare il sospetto che, a partire da questi anni,
la tradizionale distinzione tra pittura e scultura non abbia più senso. Indagano
lo spazio attraverso l’uso dei metalli Nicola Carrino e Carlo Lorenzetti,
Francesco Lo Savio, Sergio Lombardo, Livio Marzot e Pasquale Santoro.
Getulio Alviani e Attilio Pierelli
creano opere che interagiscono con lo spettatore. Di Pierelli, per la prima
volta dopo vent’anni, vengono riallestite le grandi strutture in acciaio
inossidabile in cui l’artista, affascinato dalle teorie di Einstein, fornisce
una rappresentazione visiva dell’infinità di tempi e spazi possibili. C’è anche
una delle sue sculture "parlanti", in grado di produrre un suono in virtù di un
meccanismo sensibile alle variazioni di luce.
Gino Marotta crea boschi e alberi
con le nuove materie plastiche prodotte dall’industria, coinvolgendo lo
spettatore nell’ambiguità di un gioco ironico e provocatorio.
Mario Ceroli e Cesare Tacchi
traducono in italiano l’esperienza della pop art americana, mentre Pino Pascali,
Gilberto Zorio ed Eliseo Mattiacci rappresentano il fenomeno dell’arte povera.