E’ stato collocato tra i tesori d’arte del Museo Nazionale Romano

Il sarcofago di Selene dal Borgo di Cesano

di Antonio Venditti

 

Il Borgo di Cesano, ad appena 22 chilometri dal Grande Raccordo Anulare, sorge a 240 metri di altitudine, su un banco tufaceo perforato da gallerie, grotte e cunicoli. Il territorio fu abitato fin dalla più remota antichità e una presenza importante fu quella degli Etruschi della vicina città di Veio. Ad appena mezzo chilometro da Cesano, a Campiscari, alcune tombe etrusche hanno restituito corredi funerari con ricche suppellettili.

In epoca romana in tutta la zona comparvero le imponenti arcate degli acquedotti e si moltiplicarono ville rustiche. Sembra che proprio da una di queste "fattorie", di proprietà di Cesare Augusto, si sia sviluppato il primo nucleo del Borgo di Cesano, il cui nome deriverebbe, appunto, da "Massa Cesarea", proprietà del Demanio imperiale. Altri pensano, invece, che la denominazione prenda origine dalla famiglia Caesia, di rango senatorio, che qui possedeva un vasto fondo. Sul retro della chiesa di San Giovanni Battista sono murate iscrizioni e rilievi marmorei. All’epoca giulio-claudia appartiene un bellissimo cippo con iscrizione funeraria e rilievi con fregi, putti, festoni ed altri elementi vegetali. Fu posto sulla sepoltura di un tale Regilliano, servo imperiale, dalla sua convivente Giulia Procula. Incassato a circa quattro metri di altezza è il bassorilievo con quattro amorini alati che giocano a spingere una ruota con un bastoncino, passatempo in voga tra i fanciulli almeno fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Alla stessa altezza si trovava un altro rilievo con puttini che, alla guida di cocchi, gareggiavano nel circo. In primo piano, altri puttini sembravano osservare le corse comodamente sdraiati in terra. Secondo i cesanesi, invece, questi ultimi avrebbero raffigurato "i bambini che le abitanti del luogo erano solite buttare sotto le ruote dei carri per rendere omaggio a Cesare Augusto, quando l’imperatore giungeva nella sua villa rustica". Purtroppo, l’importante reperto è stato staccato dal muro e trafugato da ignoti ladri nel 1995.

Nel 1934, durante alcuni lavori agricoli sui Monti di S. Andrea, venne alla luce una cappella cristiana del X-XI secolo, lunga 22 metri e larga circa 7 e mezzo, divisa in tre ambienti, uno dei quali absidato. Nell’edificio vennero rinvenuti frammenti di 5 sarcofagi romani, evidentemente riusati in epoca medioevale. Due di questi, molto stretti, erano in travertino liscio, mentre altri due erano in marmo bianco, uno liscio e uno strigilato. L’ultimo sarcofago, sempre in marmo bianco, risultava praticamente intatto. Era chiuso un coperchio di rozza pietra tufacea a doppio spiovente lungo più di due metri e conteneva dei resti umani. Se ne può ricostruire la lunga storia: il sarcofago romano, asportato da suo sito originario, venne in un primo tempo trasformato nella vasca di una fontana, come proverebbero i due fori sul fianco sinistro. In seguito tornò alla sua funzione originaria di sepoltura e fu richiuso con il coperchio, molto più antico, di un sarcofago etrusco proveniente da qualche necropoli dell’agro veientano. Oggi è conservato al Museo Nazionale Romano.

Il sarcofago, lungo 2,15 metri, alto 0,63 e profondo 0,55, può essere datato intorno alla metà del III secolo d.C.

E’ ornato sulla fronte da un rilievo con il mito di Endimione, raffigurato in un’unica scena, che deve essere letta da sinistra a destra. Fu illustrato nel 1935 da Roberto Vighi. Sulla destra della composizione è il pastore Endimione, sdraiato ai piedi di una roccia, che riposa con un braccio ripiegato sul capo. Accanto a lui è Hypnos, che regge i papaveri in mano e versa da un corno il sonno sul giovane. Mentre un amorino scopre Endimione, Selene lo va a trovare scendendo dalla sua biga, i cui cavalli sono trattenuti da Aura. Sulla sinistra si vede un vecchio pastore seduto sulla roccia, senza più il bastone che doveva avere in mano. Davanti a lui è un cane, che gli poggia una zampa sul ginocchio. Due fanciulli pastori, uno dei quali regge in mano una canna, tendono le braccia al vecchio. Di un terzo fanciullo, che si trovava vicino al cane, resta solo il torso. Su un ripiano superiore si vede un piccolo gregge, inquadrato da due alberi e composto da cinque animali, tra i quali si riconoscono un montone ed una capra. Presso i piedi del pastore era un altro animale, di cui rimangono solo poche tracce. A terra, tra Aura e i cavalli, si vede la figura di Tellus, allegoria della Terra, che aveva nella mano sinistra una cornucopia e appoggiava la destra al ventre di un cavallo. Accanto a lei due puttini, uno con il pedum e l’altro con un cesto colmo di frutta. Sopra i cavalli volano due puttini, uno rivolto verso Selene e con una torcia rovesciata, mentre l’altro trattiene i cavalli. Un terzo puttino è tra Selene e Hypnos. All’estremità destra del rilievo si riconoscono quattro figure: Latmo, un satiro che suona la siringa e due ninfe delle sorgenti, una ammantata e l’altra seminuda e con nella destra un vaso da cui sgorga l’acqua. Sotto di loro era un animale, forse il cane di Endimione.

Come scriveva il Vighi, "tanto il volto di Endimione quanto quello di Selene erano ritratti: ciò appare chiaramente, malgrado l’erosione che rende tutte le fisionomie irriconoscibili, quasi livellate tra loro, specialmente nella testa di Endimione, che è coronata da una chioma irsuta, trattata sommariamente, ma con evidente scopo realistico".

Rispetto a simili rappresentazioni, la figura di Hypnos è forse quella che presenta maggiori caratteri di originalità: di solito l’alato dio del sonno è vestito solo di una clamide, o mantello, gettata sul braccio sinistro, con una banda a tracolla. Qui invece ha una lunga tunica, cinta alla vita e alle anche, che gli copre le gambe fino ai piedi.

Sui lati brevi l’esecuzione è più rozza e piatta. In quello di sinistra, si vede un pastore con un grosso cane, su quello di destra, Selene sulla biga, che, frustando i cavalli, volge indietro la testa.

Per chi si rechi a Cesano, è d’obbligo una visita alla chiesa di San Nicola, risalente agli anni intorno al Mille e ornata da una serie di superbi affreschi quattrocenteschi, attribuiti alla scuola viterbese di Antoniazzo Romano.

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