A Castel Sant’Angelo la mostra organizzata dal Centro Europeo Turismo

Una galleria di ritratti dei Principi romani

di Antonio Venditti

 

Le tipologie ritrattistiche auliche - in età rinascimentale e barocca - erano funzionali al significato politico e propagandistico assunto nella gestione del potere dalle personalità eminenti, celebrando la loro virtus e il successo raggiunto.

La mostra "Il Principe Romano. Ritratti dell’aristocrazia pontificia nell’età barocca" - ospitata dal 12 ottobre al 2 dicembre nel Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, curata da Francesco Petrucci e Maria Elisa Tittoni e organizzata dal Centro Europeo per il Turismo - segue le esposizioni Papi in Posa e La Porpora romana, tenutesi a Palazzo Braschi, a conclusione di una trilogia sui "volti del potere" a Roma.

Una carrellata di ritratti tra Seicento e Settecento illustra i volti dell’aristocrazia romana: marchesi, duchi e principi, ritratti di Francesco Mochi, Ottavio Leoni, Maratta, Baciccio, Ferdinand Voet, Benefial, in una sequenza di straordinari capolavori.

Il prototipo del ritratto dell’aristocratico è costituito nel Rinascimento dall’effigie del sovrano europeo. Sono un modello di riferimento i ritratti dinastici di Carlo V e Filippo II di Tiziano, raffiguranti il monarca in veste militare, in posa eretta, gambe aperte e leggermente ruotate, vestito di armatura con la mano sull’elmo e una poggiata sulla spada, come un grande condottiero.

La ritrattistica aulica e celebrativa ha una codificazione nella produzione del pittore fiammingo Anthonis Mor, noto come Antonio Moro, che girò le corti europee della seconda metà del ‘500, con continui spostamenti tra le Fiandre, l’Inghilterra, la Spagna, la Germania, il Portogallo e l’Italia, eseguendo ritratti di regnanti e degli uomini più potenti d’Europa. Personalità come Filippo II, il duca d’Alba ed Alessandro Farnese posarono per lui, andando a raggiungerlo persino a Bruxelles. La pittura è estremamente levigata, attenta ai dettagli fino al parossismo; il codice linguistico si rinnova, sviluppando una ritrattistica iconica e ieratica consona all’austero cerimoniale della corte asburgica.

Ne segue l’esempio il Ritratto di Francesco II Colonna di Siciolante da Sermoneta (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica). Ma innumerevoli dipinti raffigurano i principi in veste di condottieri, come i ritratti di Giacomo Boncompagni (New York, collezione privata) e di Marcantonio II Colonna di Scipione Pulzone (Roma, Palazzo Colonna), con lo schema internazionale del tendaggio, lo scettro del comando, una mano sulla spada e l’altra sopra l’elmo posato sul tavolo.

Tale consuetudine conosce un superamento nel corso del Seicento - quando il principe viene rappresentato con le insegne e il costume del suo ruolo – e soprattutto nella ritrattistica della seconda metà del secolo in abiti alla moda, con Ferdinand Voet. Preziosi jabots ricamati, sofisticate tessiture, vaporose parrucche si sostituiscono all’elmo e all’armatura.

Se gli aristocratici di rango elevato non sono più generali, i nobili di estrazione provinciale non sono più capitani e sono costretti a diventare cortigiani, entrando nei "ruoli" della "famiglia" di un principe o di un cardinale, di cui costituiscono il "seguito", fornendo una coreografica e scenografica cornice al fasto barocco delle corti.

A Roma il cambiamento avviene con i Chigi, durante il pontificato del loro congiunto Alessandro VII (1655 – 1667). La casata senese ha un passato nella mercatura e nella finanza e non vanta origini feudali o militari. Peraltro l’ostilità iniziale di Alessandro VII al nepotismo li pone in una condizione nuova e di cautela nella prassi di ostentare il nuovo ruolo politico e l’ingresso nella nobiltà romana, dopo l’apparentamento con casa Borghese e l’assunzione dei titoli di principi di Campagnano e duchi dell’Ariccia.

Mario Chigi, fratello del papa, è presentato da Giovanni Maria Morandi, Baciccio e Ludovico Gimignani come un borghese, sebbene fosse stato nominato Generale di Santa Romana Chiesa; così è raffigurato pure il capostipite Augusto seniore, nel ritratto postumo sempre realizzato dal Morandi; i dipinti ce ne trasmettono la fisionomia in un abito scuro essenziale, bavero e polsini bianchi, privo di qualsiasi accessorio che denunci la sua acquisita condizione sociale.

Siamo a una svolta nella iconografia del principe e del gentiluomo, che non subirà sostanziali cambiamenti sino al dissolvimento dell’aristocrazia come classe sociale. Le concezioni illuministe e i rivolgimenti imposti dalle idee progressiste e di emancipazione sociale di stampo francese porteranno poi dall’ultimo quarto del ‘700 ad una progressiva omologazione del ritratto nobiliare con quello borghese, senza distinzione formale e tipologica.

Dalla funzione ufficiale esaltante il decoro del ruolo, si passa addirittura al ritratto in vestaglia con carattere esplicitamente intimo, secondo una consuetudine francesizzante diffusa da Voet, ma che avrà notevoli sviluppi in tutta Europa.

Se nella prima metà del Settecento seguendo l’influsso francese riprende vigore il ritratto militare del principe, nella seconda metà e verso la fine del secolo acquista una preminenza assoluta il ritratto dell’aristocratico in abito civile, spesso vestito da gentiluomo di campagna. L’interesse antiquario e intellettuale riflesso dalla nuova cultura illuminista prevale nella seconda metà del Settecento e nel periodo neoclassico. Le rappresentazioni eseguite da Pompeo Batoni di nobili inglesi a Roma per il Grand Tour fanno scuola, imitate anche da altri specialisti come Anton von Maron.

Sigismondo Chigi si fa raffigurare da Ludwig Güttenbrun mentre tiene una statuina classica o un libro, da Gaspare Landi e Teodoro Matteini con Ennio Quirino Visconti a Castel Fusano di fronte ai reperti archeologici da lui recuperati. Non mancano tuttavia ancora alcuni ritratti che immortalano i principi nella vanagloria delle onorificenze ricevute o nei ruoli ufficiali in seno alla Chiesa, come il Ritratto di Agostino II Chigi Cavaliere del Toson d’Oro di Peter Kobler (Ariccia, Palazzo Chigi) o il monumentale Ritratto equestre del duca Luigi Braschi già in collezione Theodoli di Bernardino Nocchi, sfarzoso nel vistoso abbigliamento e nella pomposa inquadratura di fronte alla Basilica Vaticana. Ma il vento rivoluzionario cominciava a spirare anche tra le piazze di corte e i saloni principeschi di Roma. Di lì a poco non ci sarebbe più stata differenza tra il ritratto borghese e quello di una classe avviata a un inesorabile declino.

La Mostra sarà inaugurata il 12 ottobre alle ore 10 dall’assessore alle Politiche culturali del Comune di Roma, Silvio di Francia.

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