L’area archeologica di Castel Fusano non sarebbe il famoso Laurentino

La Villa di Plinio, enigma da svelare

di Antonio Venditti

 

"Ti meravigli che io ami tanto il Laurentino", scriveva Plinio il Giovane nel I secolo d.C. al suo amico Gallo, spiegando le ragioni di questa sua preferenza: "la villa è abbastanza grande" e "non necessita di una costosa manutenzione". Vi si accede "da un atrio semplice ma elegante". C’è un "portico protetto da vetrate" e "un bel triclinio che si spinge fin sulla spiaggia, lambito dalle onde ogni volta che il mare viene agitato dallo scirocco": Questo ambiente aveva, su tre lati, finestre e porte-finestre tanto grandi, che "sembra quasi di vedere tre mari". Il letterato prosegue con una descrizione minuziosa di ogni ambiente, senza tralasciare nemmeno la parte riservata a servi e liberti, "così elegante che vi si possono anche alloggiare degli ospiti". Non potevano mancare vaste terme private, "con un bellissimo calidario da cui i bagnanti vedono il mare", uno sferisterio, due torri panoramiche, un criptoportico, con davanti un padiglione. Questa - conclude Plinio - è "la mia delizia, costruita da me stesso…Qui c’è una stanza riscaldata dall’aria calda circolante nelle intercapedini".

Raramente il mondo antico ha lasciato una descrizione così precisa e appassionata di un edificio, tanto minuziosa da aver originato, fin dal Seicento, tutta una serie di tentativi di ricostruirne la pianta.

Dal momento che Plinio aveva dato anche indicazioni abbastanza precise sull’ubicazione della sua proprietà, a 17 miglia da Roma, vicino ad un villaggio da cui era divisa solo da un’altra villa, e raggiungibile sia dalla Laurentina che dall’Ostiense, è chiaro che essa si doveva trovare nel tratto di costa compreso tra queste due vie. Localizzato il villaggio, che si chiamava Vicus Augustanus, nel 1935 il grande archeologo Antonio Maria Colini procedette allo scavo della seconda villa posta a nord-ovest da esso.

I risultati furono notevoli. La villa, con panorama sul mare, oggi distante circa mezzo chilometro, era circondata da un muro di cinta. Furono riportati alla luce un quadriportico in opera reticolata, alcuni vani con pavimento in mosaico, il più bello dei quali, a tessere bianche e nere, è databile all’epoca antonina (II secolo d.C.). Raffigura Nettuno su un carro trainato da ippocampi ed attorniato da aragoste, pesci e cavalli marini. Sotto il carro è una Nereide, mentre sul alto opposto si vedono una danzatrice con il sistro e un suonatore di flauto, entrambi privi delle gambe. Da questo ambiente si passa a una grande sala chiusa a nord da un bacino a semicerchio. Una piccola costruzione a pianta quasi circolare è stata interpretata come una vasca per allevare i pesci.

Grazie a successive indagini del 1992, presso un ambiente con abside poligonale sono state rinvenute una vaschetta rettangolare rivestita da un’impermeabilizzazione in cocciopesto e alcune stanze crollate che dovevano essere state estremamente lussuose, considerando ciò che resta della decorazione delle pareti e dei pavimenti, realizzata con lastrine di marmo rosso e giallo.

Nel 1935 fu scoperta anche una piccola basilica paleocristiana, addossata all’esterno del muro della villa. A navata unica, termina con un’abside e conserva l’altare e la pavimentazione marmorea del presbiterio

Tutti questi elementi rendono estremamente interessante la visita ad un’area archeologica immersa in una natura praticamente incontaminata, nella pineta di Castel Fusano, raggiungibile dalla Cristoforo Colombo, percorrendo il viale della Villa di Plinio. Per accedere alla zona degli scavi è necessario rivolgersi alla Soprintendenza ai Beni culturali del Comune di Roma.

Se, però, qualcuno volesse tentare di confrontare i resti sul terreno alla descrizione di Plinio, rimarrebbe alquanto deluso. Le differenze sono sostanziali e non possono nemmeno essere giustificate con un radicale rifacimento posteriore alla morte di Plinio, dal momento che molti ambienti risalgono addirittura all’epoca giulio-claudia (I sec. d.C.). Si tratta, quindi, con tutta probabilità, della villa di qualche altro personaggio, al momento sconosciuto.

La dimora laurentina di Plinio potrebbe essere, quindi, dal lato opposto del Vicus Augustanus. La seconda villa a sud-est del villaggio è quella detta di Grotte di Piastra. Qui gli scavi degli anni ’80 di Eugenia Salza Prina Ricotti individuarono un criptoportico del tutto simile a quello descritto nella lettera a Gallo, con le sue grandi finestre, un padiglione posto all’estremo nord-ovest del complesso, proprio come diceva Plinio, e il pavimento del primo piano di una delle torri panoramiche. Nei pressi dell’antica linea di costa è stato rinvenuto un portico decorato con terrecotte del tipo "Campana" (I sec.d.C.). La villa mostrava i segni di un importante intervento di ristrutturazione avvenuto circa dieci anni dopo la morte di Plinio, forse ad opera dei Balbi, che ne risultano proprietari almeno dalla fine del II secolo d.C. All’epoca severiana, infatti, risale un’epigrafe su stele di travertino, che testimonia che qui nacque ed abitò Antonio Balbo, noto per essere stato condannato a morte intorno al 209 da Settimio Severo.

Ulteriori indagini nell’area potrebbero permettere di conoscere meglio la dimora di una delle figure più interessanti del panorama culturale romano. Nato a Como nel 61 o nel 62 d.C., Plinio il giovane fu ben presto adottato dallo zio, quel famoso Plinio il Vecchio che trovò la morte per asfissia sulle coste campane durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., dove si era recato, nonostante soffrisse d’asma, per portare soccorso alla popolazione e spinto dall’amore per la scienza ad osservare da vicino il devastante fenomeno naturale. Educato da Quintiliano, Plinio il Giovane divenne amico di Tacito e Svetonio. Fu avvocato e rivestì numerose cariche pubbliche. Nel 110, sotto Traiano, divenne console e dal 111 fu governatore della Bitinia. Possedette molte ville: due sul lago di Como, che volle chiamare "Tragedia" e "Commedia", alcune a Tivoli, Frascati, Palestrina, una in Toscana ed una sul litorale laurentino. Scrisse diverse opere, di cui restano il "Panegirico a Traiano" ed un fitto "Epistolario" in dieci libri. Morì nel 114, forse mentre si trovava ancora in Bitinia.

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