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Settanta acquerelli raccontano la città dell’Ottocento

La Roma di Achille Pinelli rivive a Palazzo Braschi

di Antonio Venditti

 

Chiese da tempo scomparse, angoli di una vecchia Roma che non esiste più, animatissime scene di vita popolare, con liti tra donne, maschere di carnevale, fumose botteghe del tempo che fu: questo e molto altro nei 70 acquerelli realizzati tra il 1832 e il 1835 da Achille Pinelli esposti fino al prossimo 16 settembre nelle sontuose sale di Palazzo Braschi in piazza San Pantaleo, sede del Museo di Roma.

La mostra "La Roma di Achille Pinelli", promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma, vuole essere un omaggio a uno dei protagonisti del mondo artistico romano dell’Ottocento, figlio del più noto Bartolomeo.

Nato a Roma nel 1809, Achille Pinelli realizzò una serie di circa 200 acquerelli, tutti conservati presso le raccolte del Museo di Roma. Gli esemplari esposti in occasione della mostra sono il risultato di un’accurata selezione dell’intera raccolta.

In un’epoca in cui non era ancora possibile avvalersi della fotografia quale mezzo di riproduzione delle immagini, gli acquerelli di Achille Pinelli avevano un grande valore e oggi non sono solo preziose opere d’arte ma rappresentano un vero e proprio inventano di molti edifici attualmente non più esistenti.

Pur con qualche imprecisione e ingenuità, forse inconsapevolmente, Pinelli ha svolto un prezioso lavoro di documentazione di quegli aspetti della città che oggi sono scomparsi o che, nel corso del tempo, sono radicalmente mutati.

La scelta è stata fatta privilegiando acquerelli che raffigurano i luoghi della città scomparsi o radicalmente mutati; un esempio tra i più significativi è la chiesa di San Gerolamo degli Schiavoni nella sua antica straordinaria ambientazione al Porto di Ripetta. Il porto fu sacrificato a causa dei lavori effettuati per la realizzazione dei muraglioni sul Tevere.

Le opere dell’artista mostrano quasi sempre vivaci scene di vita quotidiana che evocano lo stile del padre, Bartolomeo Pinelli. Come nel caso della tavola dedicata a Santa Maria della Scala, che presenta in primo piano la festa dei montanari abruzzesi culminante con il "ballo dell’orso", oppure nella processione dei confratelli davanti alla chiesa della Natività di Gesù in Piazza Pasquino, che indossano il caratteristico saio e che sono preceduti da un "mannataro" in livrea.

Alcune scene che illustrano la pittoresca vita romana di quell’epoca sono derivate dalle note incisioni di Pinelli padre, come "La bottega del ciabattino", in cui si può godere di una minuziosa descrizione degli arnesi da lavoro, mentre in primo piano una donna si prova un paio di pantofole e due butteri appoggiati a un bastone conversano coi lavoranti. Sempre d’ispirazione paterna è "La Carrettella delle ottobrate", in cui un gruppo di "minenti" torna da una passeggiata fuori porta. L’acquerello è ambientato nell’attuale via Marmorata ai piedi dell’Aventino, con sullo sfondo la grande mole della piramide Cestia.

Pochissime le notizie sulla vita di Achille Pinelli figlio dell’incisore e disegnatore Bartolomeo Pinelli (1781-1835) e di Mariangela Gatti.

Secondo alcuni biografi del padre, Achille avrebbe intrapreso il mestiere dell’illustre genitore, dedicandosi alla sua stessa arte, ma compiendone una rielaborazione volta a superare la retorica e la pomposità paterna verso un più semplice tratto tra l’aneddotica e la satira.

I soli punti fermi della sua biografia sono gli anni segnati sulle sue opere. Non frequentò l’Accademia di San Luca, dal momento che il suo nome non compare negli archivi. Non aiutano neanche i pochi scritti su di lui che i discendenti del suo amico Antonio Moretti, incisore, pittore e mosaicista romano, hanno donato al Museo di Roma.

L’ultima lettera, scritta il 7 agosto 1841, ci informa del suo ricovero nell’Ospedale degli Incurabili di Napoli il 26 luglio, dove era andato per cambiare aria dopo una malattia. Qui morì il 5 settembre.

Ha lasciato duecento acquerelli e riprodotto le facciate di altrettante chiese di Roma, alcune delle quali sono state abbattute. Non si limitò a riportare le facciate di queste chiese come in una fotografia - che negli anni tra il 1819 e il 1827 si andava sviluppando - ma, come un vignettista moderno, ne popolò la piazza o la via antistante con scene popolari. In un certo senso Achille Pinelli dipinse lo stesso "popolino" di Giuseppe Gioachino Belli.

Figure forse più abbozzate rispetto a quelle accurate delle incisioni di Bartolomeo, ma che comunque documentano l’epoca di Gregorio XVI. Sicuramente importante fu il rapporto con il padre, cui dedicò numerosi disegni di contenuto familiare.

Per quanto riguarda la sua formazione molto si deve ai contatti con Ernst Meyer e Constantin Hansen, operanti a Roma negli anni ‘30 e ‘40 del secolo, che privilegiavano l’aspetto pittoresco ed episodico della vita quotidiana. Il danese Albert Thorwaldsen fu suo estimatone e possedeva un consistente numero di disegni e acquerelli dei due Pinelli, ora al Museo di Copenhagen.

La sua produzione, che si estende dal 1826 circa al 1841, è caratterizzata soprattutto da acquerelli che riproducono monumenti, strade e chiese di Roma animati da scene di vita quotidiana.

Il segno tecnicamente imperfetto origina numerose imprecisioni spaziali e compositive, il colore non sempre è ben calibrato. In particolare nella serie di vedute con le chiese di Roma Achille consegue il risultato più valido e autonomo rispetto alla produzione del padre. Al contrario, nelle scene di genere, l’artista ripropone per lo più temi consueti al repertorio di Bartolomeo, tanto da sembrare quasi contraffazioni.

Negli acquerelli di Achille la filiazione artistica da Bartolomeo si riduce ad un’espressione di temi figurativi simili, nei quali la resa formale risente della mutata atmosfera culturale: mentre in Bartolomeo la produzione grafica denuncia una formazione neoclassica evidente nel gesto disciplinato, nella scena mantenuta su un registro di magniloquenza, in Achille sono presenti le istanze puriste e romantiche miscelate ad un neoclassicismo attardato.

Tra le sue attività vi è anche quella delle incisioni per le sacre rappresentazioni organizzate nelle Arciconfraternite e quella di "plastificatore".

Della mostra si parlerà nel corso dell’Intervista possibile di "Questa è Roma!", la trasmissione ideata e condotta da Maria Pia Partisani, in onda ogni sabato dalle ore 11 alle 12 su Nuova Spazio Radio (88.150 MHz).

 

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