Nei
Colli Albani i resti di ville romane private costituiscono un tema
monumentale distribuito per l’intero territorio. Il fenomeno, che
dall’età repubblicana vide preferire queste zone ad altre vicine a Roma,
fu dovuto alla salubrità dell’aria, ai problemi derivanti
dall’urbanesimo, all’evoluzione della vita economica e sociale e al
tentativo di potenziare ed incentivare la agricoltura. Un contributo
notevole fu dato anche dal cambiamento dei gusti e degli indirizzi
filosofici e dal manifestarsi di nuove esigenze spirituali ed
intellettuali. Catone, che nel Tuscolano aveva la sua villa, scrisse
addirittura un trattato, il "De re rustica", in cui esprime
l’amore per la terra convinto che da essa derivi la salute fisica e
morale. Famosa e preferita alle altre di sua proprietà, era la villa di
Cicerone sui Colli Albani. In essa scrisse gran parte delle lettere e le
principali opere filosofiche, una delle quali è intitolata appunto "Tusculanae
disputationes", convinto che nella villa il cittadino romano potesse
realizzarsi intellettualmente sublimando la propria individualità.
Al sorgere delle ville sui
Colli Albani non fu secondario il desiderio di ostentazione del lusso,
della ricchezza, che spingeva i più facoltosi ad avere più di una villa
e a profondervi intere collezioni d’arte. Alla pluralità degli ambienti
corrispondeva l’abbondanza e la completezza dei servizi, per un
soggiorno piacevole, lontano dalla vita caotica della città, allietato
da piscine, terme, teatri, ippodromi e criptoportici.
L’esempio delle ville
romane nei Colli Albani diede luogo a partire dal Cinquecento ad un
nuovo fenomeno di vaste proporzioni, che vide un notevole fiorire di
ville, sotto la suggestione di un passato fecondo, e impostarle dove
erano visibili gli avanzi e talvolta i resti notevoli di quelle antiche
Nelle ville antiche dei
Colli Albani i ninfei trovarono frequenti e ricercate realizzazioni,
servendo poi da modello per i materiali, la pianta, la decorazione e le
forme grandiose agli artisti del Rinascimento.
Per motivi stilistici non
si può assolutamente tralasciare di menzionare l’interessante fontana
presso le mura di Bovillae - i cui abitanti provenivano in gran parte
dalla distrutta Albalonga - del 150-120 a.C. La forma circolare e la
volta con i blocchi in guisa di foglie lacustri rappresentano la prima
ricerca imitativa dell’architettura romana di una grotta naturale, che
servì proprio di esempio per la costruzione dei ninfei, tanto prediletti
dai romani.
Ninfei ornavano l’immensa
e splendida villa di Domiziano. Alcuni si trovano nel comune di Castel
Gandolfo; infatti nella villa Barberini, di proprietà della Santa Sede,
all’altezza del ripiano centrale dell’antica villa imperiale, ne sono
visibili quattro con statue e fontane, la cui successione interrompe la
monotonia dell’alto muro che sostiene il ripiano superiore. Lungo il
lago di Albano, in punti diversi delle due rive, si trovano i resti di
alcuni ninfei, originariamente assai graziosi. perchè ornati da mosaici
con figure marine, fontane e statue. Ammirevole per le proporzioni è il
ninfeo costruito su una terrazza del versante occidentale della villa di
Domiziano, trasformato sin dall’Alto Medio Evo nella chiesa di S. Maria
della Rotonda. Dopo i restauri portati a termine nel 1938, l’edificio si
presenta nella sua struttura originale e con la pianta circolare
dell’interno inserita in un quadrato di m. 15,60 esterno. Si accedeva
attraverso quattro ingressi separati da lesene di marmo. Alternate ad
essi, sullo stesso piano dell’aula, sono altrettante grosse nicchie,
disposte in corrispondenza dei quattro angoli del quadrato. Contenevano
vasche e fontane. Superiormente, una cornice corre tutt’intorno
all’imposta della volta del monumento nel quale si iniziano ad impiegare
materiali particolarmente leggeri destinati alle volte. Infatti la
cupola, costruita a strati orizzontali, senza nervature, né arcate, dà
all’edificio l’aspetto di un piccolo Pantheon. Il foro in alto al centro
fornisce maggiore luce all’intero ambiente ed è in corrispondenza
inferiormente con un pozzo, scavato al centro del pavimento e destinato
alla raccolta delle acque piovane. Pregevoli mosaici dì età
probabilmente severiana a tessere bianche e nere con scene del mondo
mitologico marino decoravano il pavimento; interessante quello che si
vede nella nicchia a sinistra dell’entrata e l’altro con un toro marino
nel corridoio adiacente all’ingresso. Al centro della sala un mosaico a
forma ottagonale con tessere nere su fondo bianco imita i movimenti
dell’acqua. Il ninfeo, restaurato da Settimio Severo, venne inserito nei
Castra Albana e utilizzato come ambiente termale.
Alcuni ninfei dei Colli
Albani furono in particolare veri e propri centri di culto oltremodo
venerati nell’antichità. Un piccolo santuario si può considerare il
cosiddetto Ninfeo Dorico, sulla sponda del lago di Albano, vicino alla
cabinovia che collega il lago con Castel Gandolfo. Di forma
rettangolare, lungo 10 metri e largo 6, è formato da un’aula con ai lati
lunghi delle nicchie. In fondo, fiancheggiato da pilastri e con due
nicchioni agli angoli, è il sacrario, destinato ad accogliere la
divinità, probabilmente acquatica. Caratteristico era l’architrave
dorico, sostenuto da mensole. Il ninfeo, dell’età cesariana, è rivestito
in opus reticulatum con le volte ornate da tufi, pomici, tartari,
stalattiti per farlo sembrare una grotta naturale.
Un altro ninfeo con
carattere sacro è quello del Bergantino, nel quale il papa Alessandro
VII, fin dal 1657, faceva tirare a secco un grosso brigantino per le
gite sul lago. Dall’imbarcazione derivò il nome del ninfeo, che, situato
nella riva ovest del lago di Albano, faceva parte della villa di
Domiziano. Interamente scavata nella roccia, la grotta ha un’altezza di
10 metri ed una circonferenza di 50 metri. La volta è ricoperta di
tartari, pomici e tufi, applicati in modo discontinuo per creare un
certo contrasto con il pavimento musivo. All’interno si aprono alcune
nicchie che contenevano statue. Il ninfeo, utilizzato per bagni e come
luogo di svago, poteva essere anche allagato.