Alla
fine del Cinquecento la prostituzione a Roma era molto diffusa.
L’aumento della popolazione, del lusso, la decadenza della moralità
e non ultima la moltiplicazione delle "stufe" - i bagni pubblici,
spesso luoghi malfamati gestiti da vecchie cortigiane - favorirono
l’incremento del fenomeno.
Le cortigiane erano classificate in due categorie: "oneste", le
ricche, "alla candela", quelle povere perché abitavano talvolta nel
retrobottega di un fabbricante di candele. Il censimento alla fine
del secolo rivelò una media di 17 prostitute ogni 1.000 donne,
sparpagliate in tutta Roma, specialmente nei rioni "Campo Marzio" e
"Ponte". Proprio in vicolo Cellini, nel XVI sec. chiamato Calabraghe,
che da piazza della Chiesa Nuova conduce a via dei Banchi Vecchi, si
potevano scegliere cortigiane "honeste", come quella che abitava
nella casa con facciata dipinta a graffiti ora scomparsi, quanto le
"cortigiane camiciare" o "cortigiane gialle" - così dette perché
vestivano abitualmente color limone – prostitute di infimo ordine
come "Pasqua padovana" e "Giulia fiorentina". Famosa per le sue
prestazioni amatorie fu "Angela greca", ricordata dall’Aretino come
"la grechetta". La giovane "venne a Roma al tempo di Leone, che era
stata rubata da certi ruffiani a Lanciano, e piena di rogna la
menarono in Campo di Fiore a una taverna; poi prese una casetta in
Calabraga, essendo alle mani d’uno Spagnolo de Alborensis; poi per
esser lei una bella donna assai onesta e avendo una bella venustà,
se ne innamorò un cameriere di Leone, il quale la messe in favore".
Si è cercato di far derivare il toponimo del vicolo da una famiglia
Calabraga o Curtebraca o dalla corruzione del nome medievale di
Curta Braca o Cola Brachio, ma ha osservato Domenico Gnoli che la
famiglia Calabraca non è mai esistita a Roma e se anche il nome
fosse una corruzione di Curtabraca, questa famiglia romana non ebbe
mai alcuna casa in detta località. Per cui proprio la presenza
stabile di cortigiane che, praticando prezzi bassi favorivano un
movimento notevole di clienti, diede il nome al vicolo, a partire
dal medioevo, da attribuire al ripetuto "calar di brache", di giorno
e di notte. Del resto il vicolo si trova dirimpetto all’antica
contrada del "Pozzo Bianco", in quei tempi altro ritrovo di
meretrici. La strada fu anche chiamata vicolo di S. Stefano per la
vicinanza con l’omonima chiesa.
Il
nome di vicolo Calabraghe, ritenuto indecente, fu cambiato da una
delibera comunale con quello di vicolo Cellini, che sembra avesse
avuto nei pressi una bottega. |