Dal Settecento vi esercitano la loro attività maestri panificatori Nell’antico vicolo del Forno il profumo dell’arte bianca
Nel Settecento, intorno a piazza Fontana di Trevi alle nobili dimore si accostava un’edilizia minore costituita da palazzetti e case di abitazione comune spesso aperte al piano terreno da botteghe. Sulla piazza, nel 1740, gli "Stati d’Anime" registravano la presenza di una tintoria, di un macello e di un forno, lo stesso che ha dato il toponimo a un vicolo, senza uscita, tutt’ora esistente, limitato a sinistra dall’Hotel Fontana - nato nel XIII secolo come monastero e divenuto albergo verso la seconda metà del Settecento – e situato proprio all’imbocco di via delle Muratte. Sull’angolo si affaccia un modesto medaglione che racchiude un busto ottocentesco, stilizzato e di fredda fattura, della Madonna, il cui sguardo è rivolto verso la Fontana. L’ingresso principale all’antico e rinomato forno è preannunciato ancor oggi da una lunga insegna con in bella evidenza delle imponenti lettere romane incise in profondità nella lastra di marmo, a cui le Belle Arti del Comune di Roma ha posto il vincolo. La targa campeggia sulla porta del panificio drogheria Giovanni Riposati, negozio che conservava una magnifica bocca di forno su maioliche refrattarie con tanto di data di fabbricazione: 1870. "Nun abbasterebbe un tomo pe’ scrivecce drento tutti l’usi patriarcali de li fornari antichi de Roma, come ppuro de cert’antri bottegari che a lleggello, sarebbe proprio ‘na bbellezza", scriveva agli inizi del Novecento Giggi Zanazzo nei suoi "Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma". Anticamente le persone che lavoravano in un forno erano il ministro, il sottoministro, l’infornatore, 1’impastatore, l’aiuto, il cascherino, il ragazzo. Allora, "da noi ppiù dde tanti forni non cé poteveno sta’, ccusì ppuro tutti li fornari non poteveno fa’ le pagnottelle, li semmolini e li panetti, senza godenne er privilèggio", ricordava ancora Zanazzo per poi specificare: "ogni forno ciaveva un numero; per esempio uno, dua, tre, quattro, e accussì vvia discurrenno, insinenta ar nummero stabbilito dar prisidente de la grascia o da quello della farina. Er nummero, in granne, lo doveveno tienè appiccicato ar muro, in modo che tutti lo vedessino". Poi Zanazzo aggiunge: "è ccuriosa che ccerti fornari antichi, antichi, a ttempo mio, in un cantone de la bbottega ce tieneveno un’alabarda. J’ho ddomannato er perché; mm’hanno arisposto che anticamente, ‘gni forno aveva dritto, quanno succedéveno li tumurti pe’ vvia de la carestia, de avecce un svizzero de guardia che cce piantava la ‘labbarda ". "Da ciò" spiega in italiano il grande cultore delle tradizioni di Roma "ha avuto origine il detto Appoggià l’alabarda, che significa fissare la stazione in un luogo a spese d’altri o anche presentarsi all’altrui mensa. Adesso a uno che appoggia l’alabarda gli si direbbe Sbafatore". Prima del 1870 la panetteria non sempre fornita di forno veniva condotta da un Orzarolo, o Gricio, termini romaneschi riferiti a quei commercianti che esercitavano l’Arte Bianca. Annotava Filippo Chiappini nel suo Vocabolario romanesco che l’Orzarolo vendeva pane, pasta, la farina, l’olio, il sapone, le stoviglie e persino le zaganelle - cartoccetti pieni di polvere da sparo - e i petardi. Gli orzaroli provenivano in maggioranza dall’alta Lombardia ed erano, uomini laboriosi, ma molto attaccati al denaro, tanto da preferire di rimanere celibi. Quando mangiavano tenevano il piatto nascosto dentro un cassetto del bancone per evitare di dire a chi entrava nella loro bottega "Favorisca! ". La loro avarizia arrivava al punto da offrire un baiocco al figlio che rinunciava la sera alla cena, per poi farselo restituire la mattina seguente se voleva far colazione. Di significato simile era il termine Gricio, riferito a coloro che esercitavano tale attività. Per la massima parte provenivano dalla Valtellina, territorio in prossimità dei Grigioni Tutta una regolamentazione ha accompagnato l’attività dei fornai durante il governo pontificio, anche se durante il medioevo in Italia l’arte del forno non si sviluppò come in Germania. Ed ecco perché a Roma come nei maggiori centri della penisola numerosi forni erano tenuti dai tedeschi, tanto che, come osservava nel 1502 il monaco domenicano Felice Fabri, "Sua Santità, i prelati, i re, i principi, e tutti i signori ben difficilmente mangiano pane che non sia fatto alla maniera tedesca". Ricordava Tomaso Garzoni nel 1589 che "ricerca parimente quest ‘arte non picciola intelligenza, perciocché sa di mestiero, che i fornari s’intendano e abbiano cognizione e pratica non mediocre dei frumenti, sapendo i paesi dove son nati, acciò facciano meglior farina che possibile sia". Tra il 1516 ed il 1675 esistevano oltre duecento disposizioni del Governo Pontificio che regolavano il lavoro dei fornai, che verso il 1600 potevano essere bajoccanti e decinanti. Il pane a bajocco aveva sempre il prezzo di cui portava l’attributo ed era consumato dalla popolazione più povera. I fornai decinanti vendevano il pane a peso, variandone il prezzo a seconda del prezzo del grano. Confezionavano un prodotto più fine e meglio lavorato, detto "pane a decina" o pane bianco, traendo la denominazione dalla "decina ", unità di peso di 10 libbre, corrispondente a circa kg 3,39. A Roma, in un editto del 1703, si prescriveva che nei giorni festivi di precetto "i fornari non si molestino per tre ore dopo la levata del sole" Verso il 1782, esisteva una disposizione secondo la quale i fornari dovevano apporre un "merco" o marchio di fabbrica al loro prodotto. Per cui le incisioni e i disegni che oggi compaiono su alcuni tipi di pane - specialmente lo sfilatino - traggono la loro origine da quella antica disposizione. Nel Cinquecento i fornai, per meglio adempiere ai loro obblighi religiosi, stabilirono di formare una confraternita e dopo aver risolto il problema della sede ottennero l’erezione canonica da Giulio II, con breve del 20 febbraio 1507. La loro chiesa era dedicata a S. Maria di Loreto. L’Università romana del Seicento era composta da fornari, ciambellari e tagliolinari. Nel 1800 l’Università dei fornai si sciolse, ma la Confraternita continuò a vivere fino al 1878, anno in cui in sua vece sorse, con statuto del 31 gennaio, il Pio Sodalizio dei Fornai in Roma.
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