La Villa Barberini occupa i tre
terrazzamenti della immensa Villa di Domiziano. Taddeo Barberini, nipote di
Urbano VIII (1623-1644), nel 1628 comperò sul declivio della collina, tra Castel
Gandolfo e Albano, un terreno in località "Grotte di Albalonga" e la spianata
denominata "Pomaro grande", che si adoperò a ingrandire acquistando alcune aree
confinanti. Nel 1629 fece giungere nella villa le acque delle sorgenti di
Palazzolo. Nel 1631 acquistò la proprietà di monsignor Scipione Visconti per
dare una sistemazione definitiva alla villa. Ebbe a disposizione anche un casino
che si apprestò a ingrandire. I lavori riguardarono la topografia del terreno
sul quale, in forte pendio, si trovava l’edificio, che venne portato quasi al
livello del giardino con la costruzione di una specie di ponte con sopra il
viale della Catena. Fu ampliata la parte del Casino rivolta verso il mare e
ornata con una scalea sulla facciata. Fin dal momento dell’acquisto Taddeo
Barberini aveva atteso alla sistemazione del piccolo giardino con opere di
sterro e spianatura. Vennero creati viali, piantati nuovi alberi, si ebbero
riquadri arborei, l’inserimento di fontane, mentre le rovine furono sparse un
po’ dovunque. Il giardino venne a trovarsi nella zona al di sopra del
Criptoportico della preesistente Villa di Domiziano. Numerosi ingressi davano
accesso alla villa, apprezzata dai papi durante le loro villeggiature a Castel
Gandolfo. I giardini furono oggetto di numerosi scavi per la ricerca di opere
d’arte.
Maffeo Barbenini incominciò ad
abitare nella villa fin dal 1635. Infatti quattro anni dopo venne lastricata la
terrazza sopra il criptoportico, che ebbe una balaustra, dando luogo al viale
del Belvedere.
Nei secoli successivi la Villa
conobbe lunghi periodi di incuria. Ritornò a nuova vita agli inizi del XX secolo
per interessamento del principe Luigi Barbenini, ultimo proprietario. Il piano
organico di trasformazione della Villa Pontificia prese l’avvio nel giugno del
1930 proprio dal possedimento Barberini - annesso a quello del Papa con il
Trattato del Laterano del 1929 - ricalcando l’impianto a terrazze della Villa di
Domiziano. Furono necessari notevoli lavori di sbancamento. Nell’intento di
assicurare alla Residenza Papale una completezza di servizi e una rete viaria
soddisfacente fu necessario l’acquisto di altri terreni. Venne, altresì,
restaurato il grande ingresso che dalla strada tra Albano e Marino conduce al
Palazzo Apostolico. L’antica struttura a terrazze degradanti della Villa
Domizianea servì da modello per la creazione del nuovo parco. Furono riadattati
vecchi viali e costruiti dei nuovi. Il lavoro maggiore di giardinaggio riguardò
il parterre con il folto inserimento di piccole siepi nel giardino sotto il
teatro. Fu curata particolarmente la conservazione dei ruderi affioranti dal
terreno, con opere di scavo, di rafforzamento e di restauro, come per il
Criptoportico. Con eguale interesse si provvide per i reperti scoperti durante i
lavori alla Villa. I ruderi vennero a costituire la parte integrante del
giardino, mentre capitelli, colonne, sarcofagi furono collocati un po’ dovunque,
come del resto per alcune opere d’arte appartenenti alla statuaria antica; le
sculture di maggiore importanza artistica furono sistemate nel Palazzo
Pontificio. Al Museo Vaticano fu portato soltanto il Marsia, stupenda copia
dell’originale greco di Mirone. Le statue nel parco sono collocate all’incrocio
di viali, tra cipressi, di fronte a fontane. Le più note sono: la statua della
Baccante del IV secolo, quella di un giovane atleta, copia del Kiniskos
di Policleto, un torso in basalto di un nudo virile, un fauno e la statua
equestre forse di un imperatore romano.
I lavori di sistemazione della
Villa Pontificia, voluti da Pio IX (1922-1939), riguardarono anche la vicina
Villa Cybo, il cui parco fu unito con quello Barberini tramite un cavalcavia.
Villa Cybo presenta la caratteristica di avere il palazzo sull’odierna via di
San Giovanni Battista de la Salle e i giardini sul lato opposto della strada. Il
complesso fu voluto dal cardinale Camillo Cybo nel 1717, che fece costruire il
casino da Francesco Fontana.
Il palazzo, la cui facciata
principale prospetta sulla strada, internamente fu rivestito da ricchi parati e
arredato con mobili e quadri di valore e accolse anche una raccolta di
manoscritti. Il giardino, modesto e situato a monte, fu l’oggetto della maggior
cura del Cardinale: fu ampliato con l’acquisto di oltre tre ettari di terreno e
impostato su ripiani ricavati da terrazzamenti e collegati da scalee. Occupò
l’area compresa tra la "galleria di sotto" e la zona vicina al Palazzo
Pontificio, con un’architettura ricca di elementi vegetali. Era percorso da
viali a galleria con siepi di lauro, mortella e con cipressi. Vi erano zone a
parterre, con boschetti, o delimitate dal bosso tagliato ad arabeschi. Non
mancava nemmeno un serraglio per gli animali esotici. L’acqua era presente con
la fontana a Conchiglia, quella delle Lavandaie e con una peschiera dalla forma
stellare.
Il cardinale Cybo profuse nel
parco una notevole quantità di marmi per costruire balaustre e scalinate, come
quella denominata "Teatro grande", a doppia rampa, che conduce ad un piccolo
padiglione. Numerose erano anche le sculture all’incrocio dei viali. Tra le più
notevoli, quella della Fortuna, ora mutilata della testa e delle braccia, posta
subito dopo l’ingresso, e quella di Giove, in prossimità del padiglione.
Alla morte del cardinale la Villa
venne ereditata da Maria Teresa Cybo, che la diede per alcuni anni a monsignor
de Cadillac, ambasciatore di Francia. Questi, per rendere più piacevole
l’ingresso a Benedetto XIV (1740-1758), fece costruire una scala vicino al
portone attiguo al Palazzo Apostolico. In seguito, vi soggiornò il Duca di
Nivernois. Divenuta proprietà di Livio Odescalchi duca di Bracciano, nel 1773 fu
acquistata da Clemente XIV (1769-1774) per essere unita alla Villa Pontificia.
Nel 1789 la Villa fu data da Pio
VI (1755-1799) in enfiteusi perpetua al computista del Palazzo Apostolico,
Antonio Porcini, che trasformò il giardino in un vasto campo di carciofi. Il
casino fu dato nel 1841 da Gregorio XVI (1831-1846) ai Fratelli delle Scuole
Cristiane.