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Celebre la villa in cui Cicerone scrisse dotte meditazioni

Tusculum e Roma: due storie parallele

di Antonio Venditti

L’area dell’antica Tuscolo costituisce uno dei luoghi più pittoreschi del Lazio.

In posizione elevata sui colli che si congiungono a quelli Albani tramite la Valle Latina, la roccaforte di Tusculum aveva un’importanza strategica di tutto rilievo. Dominava, infatti, il passo dell’Algido che metteva in comunicazione il bacino del Tevere con quello del Sacco, affluente del Liri. Diverse leggende riportano la fondazione della città ora ai misteriosi Pelasgi, ora a Telegono, figlio di Ulisse e della Maga Circe, oppure ad un mitico re di Albalonga, Silvio: tradizioni assai diverse tra loro, ma con un particolare in comune, quello di celare la realtà storica di un’origine antichissima. Già nel VI sec.a.C. la città entrò in rapporto con Roma, da cui fu sottomessa definitivamente solo all’inizio del IV sec.a.C. Nel 381 a.C. divenne Municipio e fin dal periodo tardo repubblicano abbiamo notizie di facoltosi romani che lo prediligevano come luogo di villeggiatura e la vita vi scorse tranquilla fino alla fine dell’Impero. Nel Medioevo fu feudo dei Conti di Tuscolo, potente famiglia che diede alla chiesa pontefici come Benedetto VIII, Giovanni XV e Benedetto IX, ma fu travagliata da lotte intestine e dalla rivalità politica con Roma, fino al tragico epilogo del 17 aprile 1191, quando i romani iniziarono la sua distruzione sistematica: le mura vennero rase al suolo, la rocca fu abbattuta, i ruderi dati alle fiamme. Degli abitanti che erano rimasti sul luogo, alcuni furono orrendamente mutilati, altri accecati. La maggior parte della popolazione, però, aveva già trovato riparo nei centri vicini, soprattutto nel borgo agricolo di "Frascata".

Una passeggiata tra le rovine di Tusculum, che raramente assumono aspetti monumentali, ha un suo particolare fascino, dovuto soprattutto alla bellezza della natura circostante. Scriveva Richard Voss: "Dappertutto silenzio, pace, solitudine, bellezza selvaggia. Più in lato, sul monte, la strada dei sepolcri, l’anfiteatro, la villa imperiale, il foro…Cisterne, colonne, are, statue, capitelli. Rovine, rovine, rovine! In alto esultano le allodole, passano i falchi. In marzo il monte solitario fiorisce di viole…Tu ignori l’incantesimo delle ginestre tuscolane. Come potrei descrivere la poesia di quella fioritura? Sembra che il monte si sia spaccato ed abbia sgorgato onde d’oro. Dappertutto scorrono e fluttuano rivoli di fiori: invadono le insenature, si snodano sulle rovine, riempiono ogni fosso e ogni balza, si stendono come un lago".

Fin dal Cinquecento il luogo suscitò l’interesse degli antiquari, ma i primi veri scavi archeologici su larga scala si ebbero a partire dal 1804, grazie a Luciano Bonaparte, principe di Canino. Tra il 1824 ed il 1831 Luigi Biondi esplorò l’area del Foro e del Teatro, seguito da Luigi Canina (1839-40), che lavorò per incarico del re Carlo Felice e della regina Maria Cristina di Sardegna. Le indagini divennero sempre più rare, fino agli scavi effettuati, intono alla metà del Novecento, da Maurizio Borda.

Dal 1994 la Scuola Spagnola di Storia ed Archeologia di Roma ha messo in atto un progetto di esplorazione sistematica condotta con metodi scientifici, che ha permesso di gettare nuova luce sulla storia della città, dalla prima occupazione umana risalente all’età del ferro, fino all’epoca medioevale. Hanno partecipato al progetto il Museo Archeologico di Cataluyna-Empùries, il Consorzio della Città Monumentale Storico-Artistica e Archeologica di Mérida, l’Università del Paìs Vasco, l’Università de La Rioja, oltre ad archeologi e studenti di archeologia di università spagnole ed italiane e volontari del Gruppo Archeologico Latino.

Le campagne di scavo hanno interessato principalmente la parte settentrionale delle mura, la zona del Foro e del Teatro, il meglio conservato tra gli edifici tuscolani. La cavea, ricavata in gran parte nel pendio del colle, poteva contenere circa 1.500 spettatori. Il piano dell'orchestra, semicircolare, era circondato da un basso parapetto. La scena conserva ancora la disposizione della fronte, con al centro la "porta regia" ed ai lati gli "hospitalia". Era ornata da statue di grandezza inferiore al naturale, di cui le iscrizioni sui piedistalli hanno tramandato i soggetti: Oreste, Pilade, Telemaco, Telegono ed il poeta Difilo.

Una strada antica di fianco al Teatro conduce alla Grande Cisterna, a pianta quadrata, eretta in opera cementizia e con il rivestimento interno in opera signina, che alimentava una vicina fontana.

Nel Foro erano state innalzate numerose statue a personaggi illustri, la maggior parte delle quali si trovano oggi al Museo del Louvre ed al Castello di Agliè.

Notevoli erano le dimensioni dell’Anfiteatro, a pianta ellittica, che poteva contenere almeno 3.000 persone.

Grande era, già nell’antichità, la fama delle ville tuscolane, come quelle di Tiberio, dei Quintili, o di Lucullo. La più celebre resta senz’altro la residenza di Cicerone, dove il grande oratore compose le sue dotte discussioni filosofiche, le "Tusculanae Disputationes". La villa vide anche i giorni più tristi di Cicerone: qui, infatti, gli morì la diletta figlia, Tulliola e qui apprese, dopo l’uccisione di Cesare, la notizia della sua proscrizione. Nel tentativo di fuga verso la sua altra proprietà di Formia, fu riconosciuto ed ucciso, presso Gaeta, dai due sicari di Antonio, Erennio e Popilio. Per ironia della sorte, era stato proprio Cicerone, poco tempo addietro, a difendere e scagionare il tribuno Popilio, durante un processo per parricidio.

La ricchezza delle ville sparse per la campagna è testimoniata dal rinvenimento di splendide sculture, custodite nei più importanti musei. Al Braccio Nuovo del Vaticano si ammira la statua di Demostene, l’ultimo grande oratore della libera Atene, che tentò invano di contrastare, con le sue "Filippiche", la politica espansionistica di Filippo di Macedonia, padre di Alessandro Magno. Nell’area della Villa Mondragone tornò alla luce, poco prima del 1729, uno dei più bei ritratti di Antinoo che l’arte romana ci abbia tramandato, oggi a Parigi, al Museo del Louvre.

Una grande villa presso Monte Porzio Catone ha restituito, nel 1761, sotto il pontificato di Clemente XIII, una maestosa statua di Dioniso in ottimo stato di conservazione, copia romana di un originale forse prassitelico. Il dio è rappresentato in piedi, vestito di un chitone a piegoline fittissime, su cui è posato un pesante mantello.

 

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