In precedenza il sottopassaggio fu denominato dei Mellini All’Arco dei Granari Commedie e musica Si apre sulla facciata di un palazzo cinquecentesco con il portale ornato da due leoni
Un sottopassaggio veramente grande è quello che immette, nel rione Parione, in vicolo dei Granari, così detto dai magazzini un tempo adibiti a depositi del grano. L’Arco, in precedenza denominato dei Mellini, si apre a sinistra del portale di un palazzo tardo cinquecentesco, precisamente al n. 45 di via di S. Maria dell’Anima. E’ un lungo e slanciato tunnel, che presenta in alto, quasi al limite del voltone, una semplice immagine incorniciata della Madonna Addolorata, all’interno di uno spazio racchiuso da candide paraste scanalate. Numerosi documenti relativi all’Arco sono custoditi nell’archivio Doria, poiché questa casata aveva delle proprietà nella zona. Un documento del 1580 rivela che nelle vicinanze dell’Arco funzionava la "stufa" dei tedeschi, uno stabilimento termale molto frequentato: "in loco dicto ad Arco dei Millini alias alla stufa". In un editto dei Conservatori del 23 novembre 1699 il sottopassaggio viene così indicato: "Vicolo dell’arco dei signori Mellini dalla strada grande che va a Pasquino (Anima) e il vicolo della strada che va a Parione (Teatro Pace)". Inoltre, i confini di una casa dell’architetto Giovanni Maria da Coldusio vengono descritti in questo modo negli Atti Thisius "Nel luogo dell’Arco dei Mellini o della Stufa, avendo innanzi la v. pubblica (Granari) e dall’altro lato lo stabile con la stalla dell’Ill.ma Sig.ra Donna Emilia del Monte, e, dietro, i beni del monastero di S. Marta". Questa casa "fu venduta a Ginevra Salviati ed è tuttora al Teatro Pace". L’Arco ricorda col suo nome la torre, non lontana dal luogo, con un fregio del 1491 a memoria della potenza dei Mellini, una delle più antiche famiglie del patriziato romano, proprietari, oltre che di una villa a Monte Mario e di un palazzo al Corso, di numerose case sui due lati dell’attuale via di Santa Maria dell’Anima. Un’altro ricordo storico nei pressi dell’Arco è dato dalla casa dei Bussi de’ Leoni, nella quale nacque S. Francesca Romana. Nel vicolo dei Granari gli edifici venivano usati per i servizi dei grandi proprietari del luogo. Sembra che uno di questi, seicentesco, all’attuale n. 4, appartenente ai Pamphili, in cui è visibile sopra al portone la colomba col ramo d’olivo, stemma della nobile famiglia, fosse stato trasformato in teatro, detto appunto dei Granari. Aveva la sala, come appare nella pianta del Nolli del 1748, a forma di "U", tipica delle costruzioni teatrali più antiche. Il Valesio nei suoi "Diari" ricorda nel 1733 che vi era una sola fila di palchetti aperti e senza tramezzi, essendo il resto delle pareti ornato da damaschi e da altri apparati. In quel teatro nel 1669 e nel 1671 il popolo romano poté applaudire le esibizioni di Tiberio Fiorilli, attore napoletano, abilissimo mimo, passato alla storia dello spettacolo come Scaramuccia. Dal 1717 vi si tennero spettacoli con burattini e fino al 1764 vi furono rappresentate burlette, commedie, drammi giocosi in prosa spesso rallegrati dalle maschere di Pulcinella, Taccolino, Arlecchino, accompagnati talvolta da intermezzi musicali e balli. In particolare, furono rappresentate opere in prosa di T. Mariani, G. Nelli e nel 1775 di Goldoni ed eseguite le composizioni di Rinaldo da Capua, Benedetto Micheli, Gregorio Ballabene e nel 1762 del Sacchini. Il teatro esisteva ancora nel 1830, poiché è ricordato dal Thomas, in "Un an à Rome", mentre al tempo del Moroni, che scriveva nel 1855, era già stato distrutto. Il ricordo del teatro dei Granari è affidato ora alla Maison, un suggestivo salotto-bar, arricchito di velluti, divani e cristalli, che si apre nello stesso numero civico dell’edificio seicentesco, dove la musica è la vera protagonista che avvolge l’intera atmosfera. |
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