Sotto l’omonimo arco aprì la sua stalla-bottega, divenne famoso ed è ricordato da un vicolo

Un vaccaro imprenditore in pieno centro storico

 

   

 

di Antonio Venditti

Roma a partire dal Settecento ha suscitato un notevole fascino sui viaggiatori stranieri. Quelle scene di vita popolare con le osterie, le ciociare, i carri a vino, le barrozze per il trasporto del fieno - trascinate da grossi bovi sul cui giogo era un’immagine di S. Antonio - ed anche le greggi che attraversavano Roma, ispirarono la fantasia di tanti illustri pittori.

Si stenterebbe oggi a credere che cent’anni fa via della Consolazione, alle pendici meridionali del Campidoglio, fosse una strada di campagna con casolari e buoi dove si svolgeva un’attività agricola, come ricordano la via dei Fienili o dei Foraggi. Cosi anche le strade sotto il Palatino, quelle intorno a S. Maria in Cosmedin e le altre vicine al Circo Massimo. Nel Foro sostavano i buoi, il Colosseo era ai margini dell’abitato; di li fino a porta S. Sebastiano si poteva camminare senza incontrare nessuno, tutt’al più alle Terme di Caracalla si vedevano pascolare le capre. Ogni domenica a piazza Farnese si radunavano i contadini per trattare affari. Analoghe scene si vedevano il sabato pomeriggio e la domenica in piazza Montanara, invasa fino al 1928 da una folla eterogenea, soprattutto braccianti in attesa di essere ingaggiati dai "caporali". Anche piazza Barberini era al limite tra Roma e la campagna e per tre lati era circondata da vigne, orti e giardini; a via Veneto sostavano nello spazio antistante la chiesa dei Cappuccini i carri dei buoi. Meta tradizionale dei festaioli erano i terreni da pascolo, detti Prati di Testaccio, e i Prati di Castello, coltivati ad orti e vigne. Era in definitiva quel generale aspetto della Roma fine Ottocento, che ai concentramenti urbani alternava ampi spazi liberi dentro le stesse mura della città e "si poteva allora levarsi il gusto", come scrisse Ugo Pesci, "di fare miglia senza incontrare un ‘anima, o tutt’al più qualche straniero in cerca di ruderi, senza vedere né una casa, né una bottega, in strade fiancheggiate per lunghi tratti da mura di pietre non intonacate, dentro alle quali erano rinchiusi orti di conventi, o vigne di privati".

Ecco perché il nome delle vie del Monte delle Capre e di Monte Caprino, della Vite, dell’Olmo, dell’Olmata, delle Fratte, del Boschetto, di vicolo delle Stalle e di via della Paglia in Trastevere e di vicolo delle Vacche dove un intraprendente vaccaro, alla fine del ‘500, fornì il primo esempio di vendita diretta dal produttore al consumatore, aprendo una bottega-stalla ove mungeva le mucche per vendere il latte agli acquirenti.

L’esempio fu seguito da altri, di cui il più famoso fu quello che ha dato il nome al vicolo del Vaccaro, da piazza SS. Apostoli a piazza della Pilotta, per una stalla di vacche adibita a spaccio di latte appena munto, commercio di certa comodità soprattutto per gli abitanti del rione Trevi.

Secondo la tradizione, sembra che questo ricco vaccaro godesse di notevole notorietà nella zona in cui aveva la sua bottega, che si apriva all’ombra di un cavalcavia costruito nel 1848 per collegare il palazzo Muti Papazzurri, con un bel prospetto di Mattia de’ Rossi su piazza della Pilotta, all’ex convento annesso alla chiesa dei Ss. Apostoli. Una parte del convento, in seguito all’autorizzazione della Santa Sede, venne utilizzata dal Pontificio Istituto Biblico, ospite, dopo l’acquisto del 1909, del palazzo Muti Papazzurri.

L’arco del Vaccaro risulta di notevole praticità per passare da un edificio all’altro, quasi fossero tutt’uno.

Altra bottega simile a quella di Vicolo del Vaccaro si trovava ancora alla fine dell’Ottocento vicino a piazza Colonna, nel vicolo delle Bollette: era la vaccheria Serafini, nota per lo smercio diretto del latte.


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