Collega il palazzo nobile con quello riservato alla servitù

Il marmo dà lucentezza all’arco dei Santacroce

All’Archivio di Stato sono conservati nove disegni del cavalcavia sotto il quale, fino al 1880, si apriva un teatrino popolare

 

   

 

 

di Annalisa Venditti

Il popolo romano ha sempre avuto una capacità innata nel dare il nome alle strade, rendendo l’indicazione funzionale. E’ il caso, fra i tanti, di vicolo de’ Catinari — da via degli Specchi a piazza Cairoli - la cui denominazione deriva dall’attività artigianale, un tempo fiorente, esercitata dai fabbricanti di stoviglie che qui avevano le loro botteghe.

Infatti "catinurn" è il termine latino che indica il piatto o la scodella, da cui la derivazione di "catinari ", equivalente di scodellari, ricordati anche dalla vicina chiesa di S. Carlo, detta appunto de’ Catinari.

Vicolo de’ Catinari ebbe anche il nome di vicolo delle Stalle, in quanto ospitava le rimesse del "magnifico" palazzo Santacroce, poi Santafiora, dal 1904 Pasolini dell’Onda, una delle quinte di piazza Cairoli.

La costruzione del Palazzo Santacroce ai Catinari fu iniziata alla fine del ‘500 da Onofrio Santacroce. I conti registrano date che vanno dal 1598 al 1602 e la firma di Carlo Maderno, mentre altre spese si riferiscono ad un periodo tra il 1630 e il 1640 e riguardano una seconda fase dei lavori voluti dal marchese Valerio Santacroce, diretti da Francesco Peparelli, a cui il Baglione ha attribuito la facciata dell’edificio.

Agli interventi edilizi partecipò anche G. A. De Rossi che eseguì, dal 1659 al 1668, per il card. Marcello Santacroce alcune opere interne e realizzò varie sistemazioni nella parte del palazzo che si affaccia sul vicolo de’ Catinari.

Dall’antichissima e nobile famiglia romana dei Santacroce, che faceva risalire la propria origine a Valerio Publicola, fondatore con Giunio Bruto della Repubblica Romana, ebbero i natali quattro celebri cardinali, Prospero, protetto da Caterina de’ Medici, Antonio e Marcello che fece riedificare il monumento della casata in S. Maria in Publicolis da G. A. De Rossi.

Il cardinale Prospero Santacroce, a cui si deve la rinascita economica della famiglia, provata dal Sacco di Roma del 1527, divenne noto per aver introdotto in Roma, al tempo di Pio IV, dal Portogallo - ove era stato nunzio apostolico - il tabacco, detto "Erba Santacroce" e anche "Erba Santa" per le virtù terapeutiche attribuite.

Oltre all’edificio fu allora costruito anche l’arco, di cui all’Archivio di Stato sono conservati ben nove disegni, che, formando un cavalcavia sul vicolo dei Catinari, collega il lato posteriore del palazzo con l’edificio retrostante, acquistato dai Santacroce per la servitù, ornato da un giardino pensile e con una fontana nel cortile. Una porta finestra del salone affrescato dal Grimaldi con scene bibliche immette dal palazzo Santacroce sopra questo grazioso cavalcavia, che a sua volta conduce al giardino pensile con una piccola fontana per fondale di G.A. De Rossi.

L’arco, che si affaccia anche su via degli Specchi, si offre all’attenzione per il suo aspetto elegante che ingentilisce il vicolo, piuttosto scuro, grazie al chiarore del travertino di cui è composto e alla balaustra segnata da finte colonnine. Una compiutezza architettonica nel collegamento tra i due edifici, che si risolve in forma quasi plastica.

La strada al di sotto dell’arco è sempre stata al centro di un via vai intenso dovuto alla vicinanza con il Monte di Pietà e alla presenza nel palazzo Santacroce, fino al 1880 quando venne ridotto a magazzino, del teatro S. Carlo in cui venivano effettuate rappresentazioni popolari.

L’edificio, nel quale un tempo era conservata una ricca quadreria, ospita l’Istituto Italo Latino-Americano. Le antiche scuderie, trasformate in Galleria espositiva, sono precedute dal cortile della dipendenza, al cui angolo sinistro, addossata alla parete, si trova una graziosa fontana, formata da una nicchia ad arco con due pilastrini dorici sorretti da altrettante cariatidi e con un ricco festone su tutta la curva ai lati di uno stemma centrale. Nella nicchia, superiormente, vi è una piccola statua di Venere adagiata in una conchiglia sotto la quale svolazzano due puttini e dal cui centro sbocca un getto d’acqua in una sottostante tazza che, a sua volta, la riversa in un bacino inferiore.


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