Nel trattato di Saserna rimedi contro gotta e cimici e consigli per depilarsi Un agronomo etrusco nella Roma repubblicana
I Romani della tarda età repubblicana sembra apprezzassero molto i precetti di un etrusco di nome Saserna, autore di un trattato di agronomia, completato dal figlio omonimo, di cui sopravvivono frammenti in latino nelle opere di Columella, Varrone, Plinio il Vecchio. Saserna "senior", scrivendo alla fine del II secolo a.C., dava consigli talvolta curiosi, basati sulla sua esperienza di proprietario agricolo della Gallia Cisalpina, probabilmente nella regione di Piacenza o di Velleia, dove i coloni etruschi avevano preceduto quelli romani. Sosteneva di possedere un paio di ricette infallibili per uccidere le cimici: "prendete un cocomero serpentario, lasciatelo marcire nell’acqua, che poi spargerete sul luogo che volete disinfestare: nessuna cimice vi si avvicinerà; oppure strofinate il letto con fiele di bue mescolato ad aceto" Per depilarsi, sembra bisognasse gettare nell’acqua bollente una mela ranetta e -quando questa fosse ridotta di due terzi - ungersene il corpo. Per insegnare a un cane a farsi seguire il suo padrone bastava porgergli una rana cotta. Saserna si vantava di aver scoperto una formula magica per guarire la gotta: quando si cominciava a sentir dolore ai piedi, occorreva ripetere ventisette volte, a digiuno, dopo aver sputato e toccato la terra: "penso a te, guarisci i miei piedi. Che la terra trattenga il mio male e la salute resti nei miei piedi". Molto più seri ed efficaci erano i consigli di Saserna sulla tecnica del sovescio. L’agronomo suggeriva di alternare alla coltivazione dei cereali quella della fava, che, una volta fiorita, era recisa e interrata per arricchire il terreno di azoto, sostanza nutritiva sottratta dal grano l’anno precedente. Larghissima era l’accezione data da Saserna alla parola "agricoltura", dal momento che il proprietario rurale doveva fabbricare sul posto tutto il necessario alla conservazione e alla vendita dei suoi prodotti. Aveva riservato perciò un capitolo del suo trattato alla questione delle cave di argilla che sfruttava sulle sue terre per alimentare i forni di un vasaio da cui uscivano giare da grano, anfore vinarie e orci da olio. Le grandi proprietà, infatti, avevano sul posto i loro medici, i loro folloni e i loro operai specializzati. Saserna insisteva anche sulla disciplina che doveva regnare nella "familia rustica". Era proibito a tutti di uscire, ad eccezione dell’intendente, dello schiavo incaricato delle provviste e di quello incaricato dall’intendente di qualche commissione. Se poi qualcuno, nonostante il divieto, si fosse assentato, avrebbe ricevuto una punizione sicura, altrimenti la responsabilità sarebbe ricaduta sull’intendente. Particolarmente interessanti, le informazioni sulla mano d’opera necessaria per un lavoro determinato: per otto iugeri di terra, ossia circa un ettaro, ci volevano quarantacinque giorni di lavoro di un uomo. In effetti, un contadino era in grado di zappare uno iugero in quattro giorni, ma bisognava tener conto dei giorni che si perdevano per malattie, brutto tempo, cattiva volontà. Due attacchi di buoi erano necessari per l’aratura di più o meno cinquanta ettari. |
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