Antichi orefici: schiavi e liberti

di Annalisa Venditti

"I diamanti sono i migliori amici ragazze", cantava Marilyn Monroe. E nell’antica Roma? A sentir un testimone dell’epoca, lo scrittore Plinio il Vecchio, "le donne ambivano adornarsi dita e orecchie di perle. Lo desideravano anche quelle povere, convinte che una perla fosse per una donna quello che era il littorio per l’uomo".

"C’è addirittura chi se le mette ai piedi – incalzava Plinio - e non solo sui bordi delle scarpe, ma su tutta la calzatura".

L’orefice era chiamato aurifex. Dalle fonti sappiamo che questi artigiani, per lo più schiavi e liberti che lavoravano per conto del loro padrone, erano riuniti in una corporazione. Le loro botteghe si trovavano nei pressi della Via Sacra, nel Foro romano. "In vetrina" avevano "anuli", anelli, "inaures", orecchini, "armillae" o "sphintera", bracciali da polso e da avambraccio, "monilia", collane più o meno elaborate, "periscelides", cavigliere e catenelle per i fianchi. Questi splendidi gioielli potevano essere d’oro, d’argento e di electrum, una lega naturale o artificiale composta da tre parti d’oro e una d’argento. Smeraldi verdi, zaffiri azzurri, granati rossi, opali e diamanti potevano essere invece incastonati nell’oro per creare preziosi monili femminili. Su pietre meno preziose come l’agata, l’ambra e i coralli "ripiegavano" le velleità delle meno abbienti. E già esisteva la bigiotteria se, come sappiamo, le schiave indossavano imitazioni di pietre preziose e gioielli di vetro colorato.

L’argomento è stato approfondito nel corso dell’Intervista possibile di "Questa è Roma!", la trasmissione ideata da Maria Pia Partisani in onda ogni sabato mattina, dalle ore 11.00 alle 12.00, su Nuova Spazio Radio (88.150 MHz).


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