Era il trionfo delle ghiottonerie esposte dai pizzicagnoli

Roma "de ‘na vorta" Il pranzo di Pasqua

L’aspetto sacro trovava la sua espressione nelle vetrine delle botteghe, nell’utilizzo "architettonico" di salami, prosciutti, salsicce e caciotte

di Antonio Venditti

Nei giorni immediatamente precedenti la Pasqua, nella Roma dell’Ottocento i negozi di generi alimentari, soprattutto i "pizzicagnoli", gareggiavano fra loro nel presentare la vetrina più ricca e ghiotta, dando sfogo ad una fantasia senza limiti. Una descrizione particolareggiata di queste mostre ci viene fornita da G.G. Belli: "Nelle due sere del giovedì e venerdì santo i pizzicagnoli addobbano le loro botteghe con una quantità tale di carni salate, di caci, ed altre somiglianti delicature, che ne sono totalmente ricoperti le pareti e i soffitti. Le varie forme e i diversi colori di simili oggetti, stimolanti l’appetito di un popolo che si dovrebbe supporre essersene astenuto per 46 giorni, vi sono calcolati e studiati all’ornamento più o meno elegante in proporzione del genio architettonico del pizzicagnolo. Inoltre, lontananze di uovi, con in fondo specchiere per raddoppiarle, stellette di talchi: zampilletti artificiali di acque: pesci natanti intorno ad uccelli rinchiusi gli uni e gli altri in campane di doppia fodera: misteri della Passione dipinti intorno a lanternoni di carta, bilicati, e aggirati dalle correnti opposte di gas e d’aria atmosferica mercé un’interna candela in combustione: finalmente, figure sacre e profane modellate in burro, o, se è freddo, anche in distrutto di maiale, ecc. ecc., formano, all’uopo di copiosa illuminazione a più colori, un corredo di pompa edificante che attrae un gran numero di divoti in giro di visita, ciò che per le donne specialmente diviene una specie di carnevaletto in quaresima".

E, ne "er giro de le pizzicarie", eccone una che colpì particolarmente il Belli: "De le pizzicarie che tutte fanno / la su’ gran mostra pe Pasqua dell’Ova, / quella de Biacio a la Ritonna è st’anno / la più mejo de Roma che se trova. / Colonne de caciotte, che saranno / cento a dì poco, arreggeno un arcova / ricamata a sarcicce, e lì ce stanno / tanti animali d’una forma nova. / Fra l’antri, in arto, c’è un Mosè de strutto, / cor bastone per aria com’un sbirro / ,in cima a una montagna de presciutto; / e sott’a lui, pe stuzzicà la fame, / c’è un Cristo e una Madonna de butirro / drent’a una bella grotta de salame".

Una tradizione che perdurò a lungo, superando i primi anni del Novecento, di cui ci fornisce una "gustosa" testimonianza Giggi Zanazzo nelle sue "Tradizioni Popolari Romane". Eccola: "Ne le du’ sere der gioveddì e vennardi ssanto, li pizzicaroli romani aùseno a ffa’ in de le bbotteghe la mostra de li caci, de li preciutti, dell’òva e dde li salami. Certi ce metteno lo specchio pe’ ffa’ li sfonni, e ccert’antri cce fanno le grotte d’òva o dde salami, co’ ddrento er sepporcro co’ li pupazzi fatti de bbutiro, che sso’ ‘na bbellezza a vvedesse. E la ggente, in quela sera, uscenno da la visita de li sepporcri, va in giro a rimirà’ le mostre de li pizzicaroli de pòrso (facoltosi), che ffanno a ggara a cchi le pò ffa’ mmejo".

Ma "l’urtimi ggiorni de quaresima – ricorda Zanazzo - se faceva l’ottavario der catechisimo o le ccusì ddette Missione. Er doppopranzo insinenta all’Avemmaria, tutti li negozzianti de Roma, compresi l’osti, li trattori, li tabbaccari, l’orzaroli, eccetra, chiudeveno le bbotteghe. E ognuno se n’annava a ppredica, indove la quale er predicatore spiegava la dottrina pe’ ppreparà’ li cristiani a ppijà’ la santa Pasqua. ".

Finalmente arrivava il giorno di Pasqua. Intorno alla tavola imbandita, avvolta dalla tovaglia più bella con sopra piatti e stoviglie splendenti, la famiglia riunita fremeva in attesa del pranzo succulento. Scriveva ancora Belli: "Ècchecce a Pasqua. Già lo vedi, Nino / la tavola è infiorata sana sana / d’erba-santa-maria, menta romana, / sarvia, perza, viole e rosmarino./ Già so’ pronti dall’antra sittimana / dieci fiaschetti e un bon baril de vino. / Già, pe’ grazzia de Dio, fuma er cammino / pe’ celebbrà sta festa a la cristiana. / Cristo è risusscitato; alegramente ! / In sta giornata nun s’abbadi a spesa, / e nun se pensi a guai un accidente. / Brodetto, oca, salame, zuppa ingresa, / carciòfoli, granelli e ‘r rimanente, / tutto a la grolia de la Santa Chiesa".

Le uova sode, meglio conosciute come "toste", venivano dipinte di rosso e offerte ai visitatori.


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