Furono sacrificati San Vincenzo in Capite e l’annesso convento

 

La Posta di S. Silvestro non piacque a molti

 

 

di Antonio Venditti

 

Piazza San Silvestro verso la fine dell’Ottocento appariva divisa dalla contigua piazza di S. Claudio da tutta una fila di case. Pertanto, si iniziò ad abbattere gli edifici che separavano le due piazze per creare uno slargo attraverso cui far passare la “parallela a via del Corso”. La creazione di questo ampio spazio avrebbe dato vita a un’area che sollevasse dal traffico via del Corso e piazza Colonna.

La Chiesa di San Giovanni in Capite era incorporata nel monastero di San Silvestro, in precedenza di proprietà dei monaci greci, poi dei benedettini e delle suore Clarisse dal 1277.

Come molti altri istituti religiosi, che dopo il 1870 ospitarono diversi organismi statali, il monastero delle Clarisse dapprima fu trasformato in Ministero dei Lavori Pubblici e dal 18 aprile 1879 passò ad ospitare il "Palazzo delle Poste e Telegrafi", qui trasferito da piazza Colonna, con grande esaltazione e compiacimento.

San Giovanni in Capite, trasformata in una sala della Posta centrale,  rimase divisa dal monastero quando venne aperto il vicolo del Moretto, fra le vie della Mercede e la parallela della Vite.

Il riadattamento dell’edificio monastico, che arrivava fino a via della Mercede, venne affidato all’architetto Giovanni Malvezzi, il quale concluse i lavori nel 1878, impiantando nell’orto delle monache uno splendido giardino poi utilizzato per l’ampliamento della sede postale.

La facciata, affidata a Luigi Rosso, fu ispirata all’eclettismo imperante secondo un gusto tipicamente neorinascimentale. Vi si leggono due targhe: Vittorio Em. II / Re d’Italia  e Anno / MDCCCLXXVII.

L'edificio, scandito verticalmente da fitte coppie di lesene, è ornato al primo piano da grandi finestre bifore, minutamente decorate, sulle cui colonnine sono posti sei medaglioni in marmo coi ritratti di Sovrani e Principi di Casa Savoia: Amedeo, duca d’Aosta, poi re di Spagna; Vittorio principe di Napoli, successivamente Vittorio Emanuele III; Vittorio Emanuele II, sotto il cui regno l’edificio fu compiuto; Umberto principe di Piemonte, poi Umberto I; Margherita principessa di Piemonte, sua consorte e regina d’Italia e Tommaso Duca di Genova.

Contribuiscono a dare ritmo alla facciata le finestre del secondo piano, a edicola.

Nello stesso anno, però, Ugo Pesci scriveva che “la facciata del nuovo palazzo è stata criticata da tutti”, aggiungendo “e se lo merita proprio”.

Grazie a un lungo intervento di restauro, sono stati riportati allo splendore originario gli affreschi delle lunette che decorano i portici con raffigurazioni simboliche del pittore romano Virginio Monti,  allievo del Mantovani e autore di molte pregevoli pitture sacre in varie chiese di Roma.


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