Topi e serpenti nel vino: il rimedio degli antichi
Gli antichi romani amavano molto il vino. E lo bevevano per lo più allungato con l’acqua, oppure aromatizzato. La cannella, lo zafferano, il rosmarino e il mirto erano le spezie maggiormente adoperate. Il vino era spesso addolcito con il miele e a volte persino pepato o lasciato riposare a contatto con odorosi petali di rosa e di viole. Molto apprezzato era il Falernum, proveniente dal Monte Massico, in Campania. Conservato in anfore chiuse, veniva confezionato con tappi muniti di targhette che garantivano l'origine e l'annata. Tra i suoi estimatori ci furono illustri personaggi: Plinio, Marziale, Orazio, Cicerone e Tibullo, solo per citarne alcuni. Ricercati erano pure i vini greci originari della Messenia, della Tessaglia, delle isole di Lesbo, Coo, Samo, Chio, Rodi, Nasso, Tasso e Creta. Ottime qualità venivano importate dall’Asia Minore, dalle Gallie, dalla Spagna e dall’Africa. Molto e pregiato era comunque il vino prodotto in patria. "Da dove potremmo cominciare – scriveva Plinio il Vecchio - se non dalla vite, rispetto alla quale l’Italia ha una supremazia così incontestata, da dar l’impressione di aver superato, con questa sola risorsa, le ricchezze di ogni altro paese, persino di quelli che producono profumo? Del resto, non c’è al mondo delizia maggiore del profumo della vite in fiore". Ma il vino era anche l’unica base alcolica con cui si potevano realizzare efficaci ritrovati medicamentosi da tenere in casa a scopi farmaceutici. Determinate essenze, infatti, lasciate macerare nel vino potevano essere utili per curare il mal di stomaco, la tosse e l’insonnia. Alle donne era vietato bere il vino di nascosto. Forse perché, secondo la medicina dell’epoca, un’eccessiva quantità poteva renderle sterili o farle abortire. Di certo poteva indurre ad atteggiamenti scostumati. Per questo motivo gli uomini di casa avevano sulle loro donne "il diritto del bacio", un modo diretto per verificare se lo avessero furtivamente sorseggiato. Grazie allo scrittore Lucio Giunio Modesto Columella, vissuto nel I sec. d.C., e alla sua opera "Res Rustica" conosciamo anche i diversi tipi di vite coltivate dai romani, le tecniche adoperate e le cure per la crescita delle piante e per la conservazione del vino. Nel suo trattato troviamo risposte anche a domande piuttosto curiose. Ecco la più bizzarra: "e se un topo o un serpente cade nel mosto?" Terrificante è la soluzione proposta: "perchè non faccia diventare puzzolente il vino, appena si troverà il suo corpo, si bruci, e quando le ceneri saranno fredde, si versino nel recipiente e si mescoli ben bene con un mestolo di legno: questo servirà da rimedio". L’argomento è stato approfondito nel corso dell’Intervista possibile di "Questa è Roma!", la trasmissione di Nuova Spazio Radio (88.150 MHz) in onda ogni sabato mattina dalle 11.00 alle 12.00. |
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