Famoso per lungo tempo fu il "treno tropea" diretto a Frascati La gita ai Castelli Romani. Una domenica d’altri tempi I vagoni erano stracarichi di comitive festaiole che davano luogo a animate scene di semplice e autentica vita popolare
L’elemento enologico, insieme a quello religioso, costituisce una delle più antiche componenti del folklore nei "Castelli Romani", appendici storiche della Capitale, come attestano eloquenti testimonianze monumentali. Infatti, non esiste sagra o festa religiosa che non sia tradizionalmente del tutto o in parte legata e rallegrata dal vino: si beve non solo per la liberazione "dalle opprimenti pastoie dell’esistenza", ma anche in onore della Madonna o del Santo festeggiato, o più semplicemente per il trionfo dello spirito. Nonostante il mutare dei tempi, si avverte ancora come il legame di questa terra con il suo vino sia talmente antico e come faccia parte della sua stessa storia, da dare quasi l’impressione che lo si possa spillare "da tutti i pori" delle sue città. E si può anche comprendere come per lungo tempo la vita dei Castellani sia stata regolata da quella vivace atmosfera che accompagna la nascita del loro vino. Il "prezioso umore che consolò pure l’imperatore Barbarossa", come scrisse Hans Barth nel suo libro intitolato Hosteria, scorre quotidianamente in tutte le cantine dei "Castelli", deliziosa testimonianza di un tempo che rivive soltanto nelle incisioni di Pinelli, nelle litografie del Thomas, nei sonetti di G. G. Belli e nelle fotografie fine secolo, nelle quali è possibile vedere il "carretto a vino, dipinto con vivaci colori, con il conducente sotto un elegante mantice ed il cavallo ricoperto di sonagli. Più vicino ai nostri tempi nei versi di una famosa canzone, significativa ed espressiva, del grande Ettore Petrolini: "La gita ai Castelli". Derivata dalle famose ottobrate romane, che ebbero il loro splendore oltre la metà dell’Ottocento, "la gita ai Castelli", domenicale, fu favorita dallo sviluppo delle comunicazioni ferroviarie tra Roma e le cittadine dei Colli Albani, prima fra tutte dal 1856 Frascati, da dove il treno che riportava a Roma i gitanti per un lungo periodo venne denominato "treno tropea", dal termine romanesco usato in luogo del vocabolo sbornia, come ricordano un volumetto del 1885, dall’omonimo titolo, di Luigi Palomba, nel quale sono riportate scenette di euforia popolare e un articolo del Messaggero del 4 settembre 1893 in cui si conferma come i treni per i Castelli partissero sovraccarichi di gente in baldoria. Pietro Scarpa nel 1939, in "Vecchia Roma", cosi descriveva il tragitto sul "treno tropea", diretto a Frascati: "La partenza da Roma avveniva per lo più di mattina, ma anche il primo treno del pomeriggio trasportava a Frascati un buon numero di gitanti.... In freno, durante il viaggio di andata tutto procedeva con ordine, se non si lamentava qualche ritardo d’incrocio con lunghe soste a Mandrione e a Ciampino, ritardo che dava luogo alla discesa dai vagoni di non pochi gitanti, seguita da una breve passeggiata ai lati del binario, opportuna per darsi le arie di viaggiatori provetti, ma sovente interrotta dai richiami a gran voce delle donne... All’arrivo il discorso verteva solitamente sulla scelta del luogo dove si doveva andar subito per smorzare l’arsura, se da "Cipolletta" in piazza del Mercato, da "Micara", da Bernaschi, da "Bonasera", oppure in tempi più lontani dallo "Smilzo" a Porta Romana, alla "Campana" in cima alla salitella del Municipio o alla trattoria del "Sole" in via Bezzecca... Solitamente il corpo bandistico municipale sotto la sapiente guida del maestro Panizza, al quale successero i due figli Augusto e Cesare, suonava in piazza raccogliendo intorno a se gran numero di romani che qualche volta cantavano ed anche ballavano stringendosi al petto l’immancabile fiasco di vino destinato ad esser consumato all’indomani...Il bel tempo invogliava spesso i gitanti a salire fino al Tuscolo... Ma l‘animazione domenicale sviluppava il suo intenso e lieto fervore soprattutto nei cosidetti ‘tinelli’ vicino alle botti allineate, provviste della ‘cavola’, spinate di fresco... I componenti delle comitive, accoccolati sui sedili formati con tronchi d’albero sostenuti da robusti cavalletti, si abbandonavano alla degustazione dello eccellente ‘cannellino’ fresco di grotta, incoraggiato a scendere nello stomaco dal forte consumo di ciambelle, di pasta cresciuta prodotte nel luogo, oppure venute dalla non lontana Cori..." Il ritorno, di notte, vedeva le comitive percorrere la discesa verso la stazione, però "gli scarsi fanali a petrolio illuminavano ben poco la scala di accesso alla strada conducente alla ferrovia perciò si verificavano frequenti rotolamenti sul selciato con relativa rottura di fiaschi e grida dei componenti le comitive... Al momento della partenza la scena raggiungeva il più alto livello di comicità. Molti discutevano animatamente sulla opportunità di sorbire un caffè, altri volevano ritornare ai ‘tinello’, e il vocio di grado in grado saliva a proporzioni impressionanti. Chi chiedeva notizie del proprio cappello che aveva smarrito, chi cercava ad alta voce i parenti, la moglie e i figli, ripetendo tutti i nomi dei santi del calendario, chi rimproverava il vicino perché spingeva troppo e gli ‘acciaccava li piedi’. Ma appena il treno si metteva in movimento sembrava che gli scompartimenti si fossero tramutati in tanti dormitori... L’arrivo a Roma sorprendeva tutti nel sonno, e allora si rendeva indispensabile l’intervento del personale viaggiante per far rimuovere i più ostinati dormienti". Ancor oggi ogni buon romano, appena può, non rinuncia a recarsi ai "Castelli" per gustare l’ottima cucina locale e naturalmente il vino. Del resto il legame esistente tra queste cittadine e l’Urbe è talmente antico e sentito da poter essere ricollegato alla storia, all’arte ed alle tradizioni di Roma stessa. E possiamo ricordare come un editto del dicembre 1656 del cardinale Sacchetti stabilisse che vi fosse una precisa strada del vino tra Roma e i "Castelli", da tenere sgombra "sotto pena della vita", per facilitare il transito degli appositi carretti. I "Castelli Romani" possono ancora, nonostante il mutare dei tempi, suscitare interessanti esperienze anche per quei giovani disposti a riflettere, come fece il giovane d’Azeglio da quei colli, sulla storia stessa di Roma. |
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