Dal Settecento, furono la meta preferita di illustri letterati I Castelli Romani, un diario a più voci Impressioni e resoconti di viaggio, palpitanti e entusiastici, scaturirono dalla penna di numerosi scrittori stranieri
Le bellezze naturali dei Castelli Romani, rese ancor più suggestive dai numerosi resti di ville antiche, dai monumenti, dalle testimonianze medioevali, sono state le componenti prime dell’interesse suscitato in pittori e letterati. Il fascino maggiore fu esercitato dalle residenze signorili, palazzi e ville che fecero "cadere cento volte nel peccato di invidia" Stendhal, meravigliato come si fosse riusciti "ad ottenere un’unione perfetta, e bella, dell’architettura e degli alberi". Ma non furono ignorati i paesi, caratteristici per la loro urbanistica, per le usanze degli abitanti e per la rinomanza dei vini. Nella letteratura straniera dei secoli XVIII e XIX viva fu l’ammirazione per i "Castelli Romani", come dimostrano le descrizioni piene di entusiasmo fatte dagli scrittori, soprattutto viaggiatori, di diverse aree di provenienza e di differente formazione culturale, con annotazioni di carattere e di ambiente, con impressioni e resoconti di viaggio, talvolta palpitanti e colmi di partecipazione, ma con la comune convinzione di narrare un’esperienza diversa, necessaria all’altrui cultura. Montesquieu visitò nel 1729 Frascati, Castel Gandolfo, Genzano, Ariccia, Albano ed il Convento dei Cappuccini, dove rimase incantato "dalla prospettiva stupenda" del paesaggio. Rigoroso diarista, il De Brosses annota il suo ingresso a Velletri, rammaricandosi di non aver potuto vedere nulla delle "opere degne di attenzione". Infatti vi era giunto di notte, dopo aver attraversato vasti boschi a lume di fiaccola. Nei dieci mesi della sua permanenza in Italia del 1739 visitò alcune ville di Frascati, descrivendole come in un ‘incisione, nelle "Lettres familières". Nel "Voyage d’un Francais en Italie", nel Settecento considerata la guida più sicura per un viaggiatore, l’astronomo De Lalande osservò che nel Palazzo Ginetti a Velletri "si vede uno dei più belli scaloni in marmo che vi sia in Italia". Lo stesso Sade nel suo "Viaggio in Italia" del 1775 riporta con cura notizie e fatti relativi alla storia ed all’arte nei Castelli Romani, integrandoli con osservazioni e deduzioni personali. Goethe, riferendo all’amico Herder sul soggiorno a Castel Gandolfo, scrive: "là dov’io per la prima volta in vita mia, sono stato completamente felice"; difatti un episodio sentimentale, ricordato nel "Secondo soggiorno in Italia", aveva caratterizzato la villeggiatura del 1789. Affinato al gusto della letteratura latina, dello studio dell’antichità e delle belle arti, Federico Meyer, incline al modo filosofico di scrutare la natura, nella sua "Rappresentazione d’Italia", pubblicata nel 1792, a proposito della sosta lungo il lago Albano non potè fare a meno di commentare: "Quale spettacolo di grandezza! Come esso invita alle più serie meditazioni... e l’anima si esalta nella contemplazione tranquilla". Massimo d’Azeglio, ritornato a Roma nel 1821, girò per i Castelli cominciando da Rocca di Papa, dove dal balcone della sua camera poteva godere di "una vista che tanto campo offrisse all’immaginazione, alle grandi memorie, al gusto artistico ed alla poesia". In una lettera alle sorelle del 30 giugno 1837 Gogol, descrivendo la festa dell’Infiorata di Genzano, si stupiva come il popolo "nei suoi costumi a colori variopinti.., offre uno spettacolo straordinario". Per circa vent’anni Richard Voss abitò a Villa Falconieri a Frascati, città che celebrò con pagine piene di entusiasmo e splendenti di colore, nelle quali pur si intravede un’ombra di pessimismo. Con analoghi sentimenti percorse per intere settimane la zona circostante il Lago di Nemi: "Dimentico in essa e per essa la patria e ogni cosa cara". A Rocca di Papa il panorama che vedeva dall’unica finestra era "degno di un re", mentre a Grottaferrata, durante la festa del 25 marzo, assisté ad uno "spettacolo così vario ed allegro che gli sembrò "di essere in un giorno di carnevale romano". La visione stupendamente scenografica del succedersi dei Castelli Romani, "la deliziosa solitudine" (Valery) ed il lungo succedersi di vigneti che risalgono le pendici collinari, oltre ad essere annotati nei diari dei viaggiatori e dei memorialisti, furono lo spunto per l’ambientazione di opere teatrali e letterarie. Vincenzo Monti nella sua "Feroniade" definisce "almo paese avventurato" Nemi, che lo stesso Byron aveva menzionato nel poema "Il giovane Aroldo". H.C. Andersen ambientò gran parte del suo romanzo "L ‘improvvisatore" nella campagna intorno a Genzano ed a Nemi. George Sand nel romanzo "Danielle" si sofferma a riflettere sull’ambiente naturale in cui erano sorte alcune ville di Frascati e sull’atmosfera che allora le circondava, mentre Cherbuliez nel "Prince Vitale" poeticamente descrive Frascati come "un mondo di delizie, dove tutto respira l’ebbrezza e l’abbondanza". Il ricordo dei "Castelli Romani" continuò ad essere immortalato nelle pagine di tanti illustri visitatori dell’Italia, come Winckelmann, Gregorovius e Turgheniev, con una visione della natura talvolta ideale, ma anche con una vivacità ed immediatezza di stile, tipiche delle descrizioni del giornalista Edmond About. Sono da ricordare anche scrittori più vicini a noi nel tempo, come D’Annunzio, con i suoi appunti del 1897 ed Hans Barth con il libro intitolato "Osteria", un pellegrinaggio dionisiaco, un inno al vino dei Castelli. È auspicabile che si intraprendano concrete iniziative per una coscienziosa divulgazione del patrimonio storico-ambientale-culturale dei Colli Albani in genere e dei Castelli Romani in particolare. Perché, nati come appendici storiche di Roma, lo attestano infatti eloquenti testimonianze monumentali, possano essere maggiormente conosciuti, amati ed apprezzati dal viaggiatore italiano. I Castelli Romani possono ancora, nonostante il mutare dei tempi, suscitare interessanti esperienze anche per quei giovani disposti a riflettere, come fece il venticinquenne d’Azeglio da quei colli, sulla storia stessa di Roma. |
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