In vicolo di S. Trifone, via dei Tre Archi e degli Acquasparta

Tre piccoli cavalcavia nella storia di Ponte

La loro denominazione partecipa della toponomastica che caratterizza i nomi delle strade del "Quartiere del Rinascimento"

 

 

 

 

di Antonio Venditti

Il Rione Ponte comprende buona parte del cosiddetto "Quartiere del Rinascimento". Attiguo a via dei Coronari - dalla fine del ‘400 a tutto il ‘500 una delle arterie più importanti di Roma - e a via della Maschera d’Oro, è il vicolo di San Trifone, che prende la denominazione dalla chiesa omonima, fino al 1940 quivi esistente, detta S. Salvatore in Primicerio, perché innalzata nel 1113 da Pasquale II (1099-1118), "Primicerio", ossia al vertice della gerarchia della Confraternita collegata. Di questa piccola chiesa non è rimasto nulla, eccetto la porta cinquecentesca, riadattata all’uso per una abitazione, indicata nel vicolo con il numero civico 1. Sulla porta si legge: "EC(CLESJ) A PAR (OCHIALJS,) 5. SALVATORJS PRIMICERII".

Il vicolo, il più piccolo di Roma, collega via dei Coronari con via dei Tre Archi, sulla quale si affaccia con un archetto, estremamente semplice nella sua struttura e con uno stemma di difficile lettura, intitolato appunto a S. Trifone.

A sua volta, via dei Tre Archi, da via dei Coronari a piazza S. Simeone, si presenta come una striscia edilizia angolosa, che attraversa due alte pareti di alcune case. In origine era un vicolo, dal 1883 promosso a via. Per alcuni prende il nome da tre cavalcavia, tra le vie Coronari e Maschera d’Oro, secondo altri da tre piccoli archi, murati su altrettante finestre di una casa. Attualmente, dei tre archi ne è rimasto in piedi soltanto uno, che sottolinea nel suo limitato sviluppo volumetrico l’esiguo spazio in cui si apre, gli altri due sono stati sacrificati per la sistemazione della zona intorno a Tor Sanguigna.

La via, ancor oggi caratteristica, fu detta "Vicolo Stretto" perché il tratto verso via dei Coronari è ritenuta la strada più stretta di Roma, ma fu conosciuta anche come vicolo "dell’Archetto", in riferimento all’archetto visibile all’imbocco del vicolo che non trova, peraltro, alcun riferimento con i tre archi menzionati.

Via dei Tre Archi è alle spalle del palazzo Milesi e della casa con graffiti di via degli Acquasparta, che prende il nome da una delle famiglie più nobili di Roma, i Cesi, duchi di Acquasparta, paese dell’Umbria dove possedevano un feudo. Su questa strada, aperta in una zona completamente alterata dalle demolizioni che hanno interrotto via Monte Brianzo, si affacciava il loro palazzo, di cui divennero proprietari nel 1567, già appartenente ai Gaddi, mercanti e banchieri fiorentini, proprietari di alcune case nel rione Ponte.

Di questa famiglia, famoso per la menzione che ne fa Dante nel Canto XII del Paradiso per bocca di S. Bonaventura, è il cardinale Matteo, inviato come legato da Bonifacio VIII a Firenze per riportare la pace tra i Bianchi e i Neri, sepolto nella chiesa di Aracoeli.

I Cesi possedevano a Roma molti edifici fra cui uno sontuoso presso il Vaticano con orto e un palazzo presso l’antica chiesa di S. Simeone in Posterula presso piazza Nicosia. Furono in parte anche proprietari del Casino di Giulio III sulla Flaminia e, nel sec. XVII di una villa presso Porta Cavalleggeri.

Nel suo Palazzo Federico Cesi fondò nel 1603 l’Accademia dei Lincei -frequentata da studiosi e scienziati, tra cui Galileo Galilei — e dal giardino, dove impiantò il primo orto botanico di Roma, provengono le statue dei due re traci o numidi che si trovano in Campidoglio, acquistate da Clemente XI.

L’arco, detto degli Acquasparta, è un minuscolo e modesto cavalcavia, che non presenta alcuna sottolineatura che possa richiamare l’attenzione.

In particolare, via degli Acquasparta corrisponde allo scomparso vicolo detto "Gaetana" - in precedenza "dell’Orso" - che prendeva il nome dal Palazzo che qui aveva fino al 1626 la famiglia Gaetani o Caetani. Allaccia la via degli Acquasparta a quella della Maschera d’Oro, cosiddetta da una maschera d’oro dipinta sulla facciata di Palazzo Milesi, che si apre al n. 7, insieme ad altri pregevoli affreschi opera di Polidoro da Caravaggio e Maturino da Firenze, oggi scomparsi.


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