L’Antinoo di Torre del Padiglione

E’a Palazzo Massimo uno dei più bei ritratti del giovane amato da Adriano

 

 

di Cinzia Dal Maso

L’antichità ci ha restituito un numero incredibile di immagini di Antinoo, il bellissimo giovinetto originario della Bitinia amato teneramente da Adriano, che secondo lo storico Dione Cassio sarebbe morto gettandosi volontariamente nelle acque del Nilo, forse per prolungare la vita all’Imperatore, seguendo il consiglio di una profezia. Adriano pianse e si disperò, quindi conferì al giovane l’immortalità, dedicandogli città, consacrandogli templi e facendone eseguire ritratti in ogni angolo del suo impero. Tra questi ultimi, uno dei più belli è quello rinvenuto il 12 dicembre del 1907 nella campagna tra Anzio e Lavinio, presso la Torre del Padiglione, dove l’Istituto dei Fondi Rustici stava impiantando un vigneto. Appena cominciati i lavori di dissodamento emerse tra le zolle, ad appena un metro di profondità, un antico rilievo di marmo in marmo pentelico, alto un metro e 42 centimetri, largo 63 centimetri alla base e 68 centimetri alla sommità, che doveva far parte della decorazione di una villa della zona. La superficie presenta una serie di macchioline brune, attribuibili alla reazione di un prodotto applicato nell’antichità a scopo protettivo e di manutenzione.

Il giovane è vestito di una corta tunica cinta alla vita, di cui ha fatto scendere completamente la manica destra. La testa, coronata di pino, è leggermente inclinata a destra. Dietro la cornice del rilievo spunta un tralcio di vite che Antinoo si accinge a recidere con la roncola. Il capo del ragazzo è bellissimo e il volto dall’aria melanconica ci fa sapere che egli conosce la brevità della vita. La mano sinistra, abbassata, doveva reggere un ramoscello, probabilmente di pino. Dietro le gambe di Antinoo spunta un cane dalle forme asciutte e dal pelame liscio, che lo guarda con assoluta dedizione.

Nel lato sinistro è una piccola ara sulla quale sono poggiati alcuni frutti ed una grossa pigna. Sull’ara l’autore della scultura ha inciso la sua firma in caratteri greci: "Antoniano di Afrodisia fece". Egli apparteneva, dunque, ad un noto ambiente di artisti originari della città di Afrodisia in Caria (nell’attuale Turchia), in cui spiccano Aristeas e Papias, scultori dei due centauri capitolini.

Molti sono gli elementi del rilievo che ci riportano a concetti di rinascita e vita ultraterrena: la pigna, il diadema di pino, la vite e il cane. Non bisogna dimenticare che nella vicina Lanuvio, come testimonia un’epigrafe del Museo Nazionale Romano, fin dal 133 d.C. era attivo un collegio funerario dei "cultori di Diana ed Antinoo" e sorgeva persino un edificio di culto dedicato al giovane bitinio. Forse il proprietario della villa di Torre del Padiglione era un membro del collegio.

Secondo Lorenzo Quilici, il rilievo va messo in relazione con una statua di Cibele trovata nel 1969 a monte della Torre del Padiglione.

Dopo complesse vicende, l’opera di Antoniano di Afrodisia è oggi custodita al primo piano del Palazzo Massimo alle Terme.


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